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Nell’ultima settimana le forze ribelli yemenite Houthi hanno attaccato due volte Abu Dhabi (il 18 e il 24 gennaio) con missili balistici e droni dimostrando che il fronte della guerra civile può allargarsi anche agli Emirati Arabi Uniti, che hanno una posizione attiva all’interno di una Coalizione a guida saudita, che dal 2015 sta cercando di ripristinare l’ordine dopo che gli insorti del nord hanno rovesciato il governo di Sanaa.

Gli attacchi contro la capitale emiratina sono preoccupanti non solo perché essa è un hub economico e commerciale globale (ospita importanti aziende come Siemens e Apple, il suo porto ha un ruolo sempre più centrale), ma anche perché c’è un rischio di destabilizzazione più ampio. Rischio anche connesso al fatto che i ribelli Houthi sono sostenuti militarmente dall’Iran, con cui gli Emirati stanno cercando un complesso processo di riavvicinamento geopolitico.

Secondo William Wechsler, direttore del Rafiki Center dell’Atlantic Council, gli attacchi dimostrano quanto sia rischiosa la politica con cui Teheran passa armi, anche di precisione, a milizie collegate. Che siano proxy come i gruppi sciiti in Iraq, che siano più indipendenti con un riconoscimento all’interno dello stato, come Hezbollah, o che i collegamenti siano più sfumati come nel caso degli Houthi, persone e strutture civili sono costantemente sotto il tiro di queste forze para statali.

“Vale la pena ricordare a tutti gli osservatori obiettivi di Washington: nessun altro governo al mondo fa questo”, scrive Wechsler: “Non ci sono rapporti quotidiani di gruppi non statali arabi, baluci o curdi armati dagli Stati Uniti o da un’altra potenza che minacciano continuamente di lanciare missili e inviare droni attraverso i confini internazionali per uccidere innocenti in Iran”. Queste attività sono precisamente in linea con un approccio di lunga data dell’Iran per proiettare il potere contro Israele, una politica che ora sta replicando contro l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.

Per lo studioso americano, il presidente Joe Biden “ha ragione a riconsiderare la sua precedente decisione di ritirare la designazione terroristica degli Houthi”, anche se “non è una decisione facile”. D’altronde “valutando le probabili ramificazioni di una tale mossa, l’amministrazione di Donald Trump è stata internamente divisa sulla questione per anni” prima di arrivare a emettere “la designazione solo durante i suoi ultimi giorni in carica nel gennaio 2021” –  una mossa “il cui tempismo è stato particolarmente discutibile e ha fortemente suggerito un alto grado di cinismo, come minimo”.

Abu Dhabi ha da tempo aumentato le pressioni a Capitol Hill affinché i legislatori americani possano essere mossi dalla causa – le cui dimensioni fattuali sono poco discutibili, basta considerare che gli attacchi contro gli Emirati, come altri contro l’Arabia Saudita, hanno avuto come obiettivo i civili. Anche se l’amministrazione Biden ha revocato la designazione circa un mese dopo la sua emissione nel febbraio 2021, il segretario di Stato Antony Blinken ha accuratamente enumerato la lunga lista di reati degli Houthi. Tra questi “la presa di controllo di vaste aree dello Yemen con la forza, attaccando i partner statunitensi nel Golfo, rapendo e torturando cittadini degli Stati Uniti e molti dei nostri alleati, deviando gli aiuti umanitari, reprimendo brutalmente gli yemeniti nelle aree che controllano, e poi l’attacco mortale del 30 dicembre 2020 ad Aden contro il gabinetto del legittimo governo yemenita”, ha ricordato il segretario statunitense.

L’amministrazione Biden ha revocato la designazione di terroristi Houthi in concomitanza con il lancio di un significativo sforzo diplomatico degli Stati Uniti per raggiungere un cessate il fuoco in Yemen. L’obiettivo era quello di ridurre la carneficina e garantire che gli aiuti umanitari vitali potessero essere consegnati senza interferenze per affrontare l’enorme crisi umanitaria prodotta dalla guerra civile. “Fin dall’inizio – ricorda Wechsler – la campagna aerea a guida saudita in Yemen è stata abbastanza prevedibilmente un disastro. Tuttavia, nonostante il desiderio di Riyadh di trovare una strategia di uscita, continuerà senza dubbio finché gli Houthi attaccheranno l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Questo è il motivo per cui l’amministrazione Biden ha dato priorità a una soluzione diplomatica”.

Tirando le somme dopo un anno di sforzi verso questo obiettivo, è abbastanza evidente che l’ostacolo principale a qualsiasi accordo al momento sono proprio gli Houthi. L’assenza di una designazione terroristica non li sta incentivando a negoziare e l’analisi dell’Atlantic Council sottolinea che ora vale la pena considerare se l’imposizione di una tale designazione aiuterà a farlo nel tempo, come d’altronde successo già con le FARC in Colombia.

“Una decisione riguardante una potenziale designazione terroristica per gli Houthi deve essere considerata nel contesto del più importante singolo fattore geopolitico nella regione: la percezione diffusa del ritiro americano”, spiega Wechsler: “Questa percezione sta lavorando contro i molteplici interessi centrali degli Stati Uniti e, se non invertita, ha il potenziale di porre le basi per un confronto regionale molto più grande dell’attuale catastrofe in Yemen”. E questa percezione è stata anche rafforzata dalla debole risposta dell’amministrazione Trump quando l’Iran ha attaccato gli impianti petroliferi dell’Arabia Saudita nel 2019.

Nel suo primo discorso di politica estera dopo l’inaugurazione, il presidente Biden si è impegnato a “continuare a sostenere e aiutare l’Arabia Saudita a difendere la sua sovranità e la sua integrità territoriale e il suo popolo”: “Dopo i più recenti attacchi negli Emirati Arabi, la regione starà a guardare per vedere come queste promesse saranno tradotte in azione”, chiosa l’analista statunitense.

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