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A ognuno il suo. Non ci sono sottomarini a propulsione nucleare e tantomeno portaerei nella strategia dell’Unione europea per l’Indo-Pacifico. All’indomani della nascita di Aukus, l’alleanza militare fra Stati Uniti, Australia e Regno Unito per contenere la Cina in Oceania e Asia Meridionale, arriva la risposta da Bruxelles.

Un documento programmatico che per la prima volta proietta nell’Oceano più grande i 27 Stati membri. Preparato prima di incassare il colpo Aukus, un patto giunto senza preavviso che sta lasciando i segni nei rapporti fra Washington e gli alleati europei. Su tutti la Francia di Emmanuel Macron, l’unico Paese membro già presente con una flotta nella regione e firmatario di un’intesa militare con Canberra.

In conferenza stampa l’Alto rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell rattizza i carboni, “gli americani sembrano di non fidarsi di noi quando devono portare avanti i loro interessi, in questo caso verso la Cina”. Il documento della Commissione Ue si limita a una road map di buoni intenti. “Solidificare e difendere l’ordine internazionale democratico”, “promuovere un ambiente aperto ed equo per gli investimenti” e “l’impegno a rispettare la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto”. Poi ancora il riscaldamento climatico e gli Sdgs (Sustainable development goals) e gli accordi di Parigi.

La Cina è menzionata con il contagocce. L’Ue che solo tre anni fa non ha avuto problemi a definirla insieme alla Russia “un rivale sistemico” oggi parla di “cooperazione bilaterale per promuovere soluzioni a sfide comuni” e di “incoraggiare la Cina a giocare la sua parte per una regione Indo-Pacifica serena e prospera”. Sorprende l’assenza di qualsiasi riferimento a Taiwan, l’isola che ogni giorno vive sotto la minaccia di un’invasione militare cinese. Con Taipei l’Ue non ha rapporti diplomatici e si limita a metterla nella lista dei “partner con cui non abbiamo accordi commerciali e di investimenti”.

Quella di Bruxelles sembra allora più una segnalazione che un vero piano d’azione: anche l’Europa, come gli Stati Uniti, vuole occuparsi dell’Indo-Pacifico, il quadrante strategico diventato centrale per la competizione con la Cina, tanto più dopo l’abbandono americano dell’Afghanistan e dell’Asia centrale. Ma l’Ue non ha ambizioni militari né una strategia di deterrenza in quella zona, e forse neanche la volontà politica per metterla nero su bianco.

Vengono prima gli affari, che infatti sono il file-rouge della strategia pubblicata oggi. Gli accordi di investimenti con Giappone, India, Corea del Sud e i Paesi dell’Asean. O ancora i microchip: l’Asia sud-orientale è il cuore pulsante della più sensibile partita geopolitica in corso. Tra Taipei e Seul lavorano le più grandi aziende al mondo nel campo dei semiconduttori, i minuscoli “cervelli” digitali che a causa della pandemia scarseggiano e oggi mettono in stallo interi settori strategici, dall’automotive all’industria hi-tech.

Qualsiasi iniziativa militare rimane per ora demandata ai singoli Stati membri in grado di portarla avanti. Si contano sulle dita di una mano. Fra gli altri, anche la Germania aveva deciso di inviare una portaerei nel Mar Cinese meridionale su pressing dell’alleato americano. Ma il viaggio programmato di sei mesi della fregata Bayern non ha sortito l’effetto sperato. È bastata una rimostranza del governo cinese per far attraccare per una “pausa amichevole” nel porto di Shanghai la temibile nave da guerra tedesca, in attesa che si calmino le acque..

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