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Dopo aver mostrato i denti, il Dragone azzanna Vilnius. Il Baltic Times riporta che le autorità cinesi hanno smesso di concedere nuovi permessi di esportazione ai commercianti di alimentari lituani. Il motivo non ha a che fare con la qualità del cibo esportato – anche perché da Pechino non sono arrivate rimostranze in materia – quanto il calore diplomatico che la Lituania sta dimostrando a Taiwan, nazione che la Cina considera una regione ribelle da ricondurre all’ovile nazionale.

È la culminazione di una difficoltà crescente nel gestire i rapporti commerciali, spiega Mantas Staskevicius, direttore dell’ente statale lituano dedito al controllo dell’export alimentare (SFVS). “[Le autorità cinesi] hanno interrotto il processo di certificazione. I questionari non vengono compilati a causa della mancanza di controlli da parte loro e tutto si è fermato. Non abbiamo ricevuto alcuna indicazione da parte loro che l’approvazione dei prodotti potrebbe interrompersi. Semplicemente non lo fanno. Non posso commentare il motivo”.

Dall’ultima frase di Staskevicius trapela la consapevolezza che si tratti di un gioco più grande della SFVS. Da anni i rapporti tra Vilnius e Pechino si fanno progressivamente sempre più tesi, anche e soprattutto per via dell’avversione lituana delle azioni cinesi ai danni di Taiwan, Hong Kong e la regione dello Xinjiang. In primavera il governo lituano si è sfilato dal blocco di cooperazione “17+1” (attraverso cui la Cina investe in Paesi del centro ed est Europa) e ha spedito dei vaccini anti-Covid a Taipei. Infine, quest’estate, Lituania e Taiwan hanno annunciato l’apertura reciproca di uffici diplomatici nelle rispettive capitali.

Per il Dragone si trattava di una provocazione efferata, specie considerando la decisione lituana di utilizzare il nome “Taiwan” in diretto contrasto con i desiderata diplomatici cinesi. Fu allora che prese il via un’operazione di wolf warrior diplomacy. La Cina richiamò il proprio ambasciatore da Vilnius e chiese all’equivalente lituano di stanza a Pechino di fare lo stesso. Poi gli ufficiali cinesi si diedero ai intimidatori, avvertendo la Lituania di “non violare l’integrità territoriale cinese” e “non valicare la linea rossa di Taiwan”, pena conseguenze. Pochi giorni dopo, quando le autorità americane espressero il loro supporto a Vilnius, il Partito comunista cinese si produsse in un’invettiva al vetriolo attraverso un editoriale sul Global Times.

“Non è assolutamente sorprendente vedere gli Stati Uniti schierarsi con la Lituania. Questo Paese europeo non ha quasi nulla a che fare con l’isola di Taiwan”, scrissero gli autori, prima di sostenere che la decisione lituana fosse stata presa solo per “soddisfare gli Stati Uniti” e mettere in discussione la competenza di Vilnius con frasi tipo “potrebbe non sapere quello che sta facendo” e “la sua ignoranza è allarmante”. Più avanti l’editoriale auspica “forti contromisure” contro la Lituania e avvalla un accordo con Russia e Bielorussia (anch’essa ai ferri corti con la Lituania) per “punire” il Paese baltico.

Lo stesso editoriale notò che la reazione dell’Unione europea alle intimidazioni cinesi nei confronti del Paese membro –  era “molto più tenue” di quella americana. Naturale, se si tengono in mente i legami commerciali tra i vari Stati europei (prima fra tutti, la Germania) e la Cina. “Alcuni paesi europei non devono pensare di usare la questione di Taiwan come leva contro la Cina”, conclude il pezzo, accludendo una minaccia: “[le provocazioni occidentali] hanno portato la Cina a considerare se non sia il caso di risolvere una volta per tutte la questione Taiwan, eliminando completamente la possibilità che alcune pedine degli Usa utilizzino Taiwan come una moneta di scambio”.

Per tutta risposta, Washington e Vilnius stanno serrando i ranghi. Domenica sera il Segretario di Stato Antony Blinken ha chiamato il ministro degli esteri lituano Gabrielius Landsbergis per esprimere la “solidarietà ferrea degli Usa mentre [la Lituania] sviluppa legami con Taiwan. La pressione aggressiva [della Cina] è inaccettabile”, ha twittato il secondo. I due hanno convenuto di “perseguire un ulteriore stretto coordinamento degli sforzi diplomatici”. I fronti del conflitto diplomatico-commerciale sono definiti; ora resta da vedere se anche il resto dei Paesi europei si ergerà a difesa di Vilnius.

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