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“Condanniamo le minacce contro l’Italia e Luigi Di Maio arrivate dopo aver ospitato [la riunione] ministeriale della Coalizione Anti-Isis a giugno. Gli Stati Uniti ribadiscono il nostro sostegno ai nostri alleati italiani. Insieme, la coalizione sconfiggerà l’ISIS”. Dopo che il ministro italiano è stato minacciato – e con lui l’Italia – dal magazine dello Stato islamico al Naba, la solidarietà internazionale è stata completa. Il virgolettato citato per esempio è preso da un tweet del segretario di Stato americano, Anthony Blinken, che due settimane fa ha co-presieduto la riunione della coalizione internazionale che combatte le forze baghdadiste. Ossia, lo sforzo collettivo che ha disarticolato il Califfato nella sua dimensione più eccezionale, la statualità acquisita tra Siria e Iraq, e continua a combattere le sue cellule e le spurie ancora in circolazione in molte regioni del mondo.

La riunione alla Fiera di Roma è stata l’oggetto della propaganda contenuta su al Naba, pubblicazione pensata per arrivare ai proseliti come una sorta di indottrinamento (sebbene in forma meno aggressiva dei vari video auto-celebrativi che circolano ancora su alcuni canali online). “Non saranno le minacce a fermare l’azione dell’Italia nella lotta al terrorismo”, ha replicato il ministro degli Esteri italiano in un post su Facebook. E in effetti è di sabato 10 luglio, giorno in cui quelle minacce sono rimbalzate per mezzo mondo, la notizia che l’Italia ha arrestato (venerdì, in provincia di Salerno) un cittadino marocchino – alias “Abi Al-Barae” – ritenuto responsabile di azioni di combattimento e coordinamento in Siria e Iraq prima sotto le file qaediste e poi agli ordini del Califfo. L’operazione è stata condotta in cooperazione tra Digos, Antiterrorismo, Aisi e Direzione generale per la sorveglianza del territorio del Marocco (DGST).

A Rabata, il 24 giugno è stato aperto l’Ufficio del Programma delle Nazioni Unite per la lotta al terrorismo e l’addestramento in Africa (Onuct), indice di come l’Onu e i paesi membri diano molta attenzione alla regione che dal Nordafrica si allarga fino all’Africa centrale perché diventata contenitore di diversi gruppi terroristici, alcuni collegati ad al Qaeda, altri affiliati allo Stato islamico. Parte di questi gruppi africani sono autonomi, altri in contatto diretto con i comandanti principali dell’organizzazione baghdadista (che dovrebbero vivere nascosti in aree remote sul confine siro-iracheno), altri ancora usano le varie sigle come moltiplicatore di forza per perpetrare i propri interessi (sostanzialmente traffici di ogni genere, rapimenti e saccheggi); in alcuni casi i gruppi sono in competizione. Il problema è se questa diffusione dovesse trovare una sorta di coordinamento africano, e dunque fondersi e dare luogo a una nuova statualità per l’Is.

Le condizioni – sia le debolezze sociali che politiche, sia la scarsa copertura e capacità militare in quelle aree – ci sono tutte. E la recente riunione della Coalizione si è proprio focalizzata sull’area, come ha ricordato sabato lo stesso Di Maio: “Abbiamo discusso dell’importanza di combattere le cellule terroristiche non solo in Medio Oriente ma anche in Africa, in particolare in aree come il Sahel dove la destabilizzazione sta producendo proprio l’aumento dei flussi migratori e i traffici di ogni tipo”. La zona saheliana “rischia di essere fuori controllo, alle porte di casa nostra”, ha detto ieri l’ambasciatrice italiana negli Usa, Mariangela Zappia intervenendo sabato a “La Repubblica delle Idee”.

Il Sahel, dove le missioni italiane si rafforzano, è stato definito su queste colonne come “la vera frontiera dell’Europa” dalla nuova inviata speciale dell’Ue, l’ex viceministra italiana Emanuela Del Re. Un’espressione che fotografa perfettamente l’importanza della regione per Bruxelles tanto quanto per Roma, e chiaramente per Washington. Intervistato insieme a Zappia dal direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, l’attuale presidente della Fondazione Med-Or, tra i massimi esperti di intelligence europei, Marco Minniti, ha ricordato che sebbene sia “tramontato il sogno di un Califfato mondiale” resta alta la minaccia, perché messaggi come quello lanciato contro l’Italia potrebbero essere un segnale per l’attivazione di lupi solitari (recentemente in azione in Baviera).

“Un fai da te molto raffinato”, lo ha definito sempre nella stessa occasione Giampiero Massolo, attuale presidente di Fincantieri ed ex direttore del Dis, che ha spiegato come “il rischio zero non esiste” riguardo a un possibile attentato in Italia. Questo sebbene diversi fattori, come la cooperazione stretta tra intelligence e forze di sicurezza, nonché il tessuto sociale del nostro paese, hanno protetto per ora l’Italia da quelle azioni che hanno interessato altre grandi nazioni europee (tipo Francia, Germania, Belgio o Inghilterra). La questione del terrorismo resta aperta per Roma. E va unita alle varie sfide geopolitiche che compongono l’area del Mediterraneo Allargato, ossia il diretto bacino di proiezione internazionale dell’Italia.

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