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Presso l’Auditorium Parco della Musica, nelle date 11, 12 e 13 novembre 2021, verrà trasmesso il classico Koyaanisqatsi, documentario sperimentale (1982) che è entrato di diritto nella storia del cinema; la colonna sonora è del musicista statunitense Philip Glass e verrà eseguita dal vivo, per l’occasione, dall’Orchestra e Coro Nazionale di Santa Cecilia.

Il titolo del film allude alla cosiddetta vita senza equilibrio, ed è un termine proveniente dall’idioma amerindio; non a caso, la pellicola è la prima di un’ideale trilogia volta a illustrare l’apparente inconciliabilità tra la spiritualità umana e naturale con gli schemi tecnici, borghesi, burocratici e tecnologici della società affluente. Glass non sarà presente, benché egli comunque si sia di recente esibito proprio all’Auditorium – nel 2017 – portando nella cavea i suoi venti Études per pianoforte ed eseguendo personalmente i numeri 1, 2, 15 e 16.

Philip Glass è un noto esponente del minimalismo musicale, che senza ombra di dubbio costituisce una forte macro-tendenza nella musica classica contemporanea. Suoi noti esponenti sono, tra i tanti, Steve Reich, Michael Nyman, Ryūichi Sakamoto, Alva Noto, John Cage, Terry Riley, Arvo Pärt, Wim Mertens, Max Richter; tra gli italiani, Luciano Berio, Carlo Boccadoro, Ludovico Einaudi, Ezio Bosso.

Anzitutto, definire cosa sia classico nella musica sinfonica, in quella da camera e nell’opera è relativamente semplice, dal momento che vi è di fatto un canone codificato e rispettato (Vivaldi, Bach, Mozart, Händel, Beethoven, Rossini, Mendelssohn, Chopin, Wagner, Verdi, Strauss, Brahms, Čajkovskij, Grieg, ecc.), che costituisce oggetto di studio e di repertorio musicale, tanto per gli studiosi quanto per i fruitori.

La classica contemporanea, invece, è un genere musicale incredibilmente trasversale, nel senso che può essere identificata come arte cerebrale, mentre altre volte la si ascolta distrattamente nelle pubblicità di alimenti (come l’acqua) oppure degli istituti di credito: come al solito, quando un fenomeno è onnipresente, l’interprete dovrebbe quantomeno incuriosirsi. Il minimalismo musicale ha avuto una stagione d’oro proprio con i musicisti citati, i quali hanno all’epoca optato per scarne ripetizioni di schemi musicali, spesso fortemente armonici e anche più accattivanti delle composizioni dei citati predecessori. È del tutto probabile che tale tendenza sia sorta per contrastare la musica d’avanguardia, quella astratta e quella dodecafonica, composte ed eseguite fino agli anni Sessanta e oltre.

Il Glass citato, per dire, si è orientato negli anni verso generi di più ampia fruizione; pur essendo un musicista appartenente all’ampio movimento del modernismo e del minimalismo, egli stesso ha tentato di andare oltre, con una vasta produzione di colonne sonore cinematografiche, undici sinfonie, le Metamorfosi e i Glassworks per pianoforte. Molte delle sue musiche per cinema sono destinate proprio ai documentari, specie quelli a tema naturalistico, antropologico, di discussione e speculazione, mentre i film che ospitano le sue composizioni sono di carattere drammatico, sentimentale-erotico, oppure d’epoca. Glass ha inoltre collaborato con artisti intelletual-pop quali Brian Eno e David Bowie, del quale ha musicato in chiave classica il tema di Heroes. Eppure i suoi schemi sono riconoscibili, spesso ossessivi e oscuri.

Lo stesso Michael Nyman, londinese, è stato uno dei primi critici musicali ad utilizzare il termine “minimalismo”; egli infatti nasce e si forma come teorico (cfr. il suo classico testo La musica sperimentale, in Italia edito da Shake, 2010), per poi proseguire con una vasta ricerca atta a contenere i suoni del folklore (in specie romeno o scozzese), l’estetica sonora dell’intimismo urbano e il senso filosofico e ritmico della ripetizione continua, non volta ad asfissiare l’ascoltatore, ma casomai a sublimare le sue percezioni, giungendo (ad esempio alla quarta o quinta ripetizione dello schema) a una situazione di estasi uditiva. Nyman è stato il fondatore della Michael Nyman Band, gruppo di versatili musicisti, i quali avrebbero dovuto riprodurre un’atmosfera da concerto, live, in qualsiasi contesto, anche sprovvisti di amplificazione; di qui il ricorso possente a fiati, basso elettrico e alle scale basse del pianoforte da parte dello stesso Nyman. Il musicista ha ricevuto l’acclamazione del grande pubblico per vie trasversali o comunque indirette: le colonne sonore intense e fortemente innervate nella struttura di alcuni film degli anni Novanta hanno reso immediatamente intuibile il suo tocco. Si allude qui in specie alle composizioni di Lezioni di piano (1993), Fine di una storia (1999) e Gattaca (1997), benché avesse già composto significative opere barocche e psicologiche per il regista Peter Greenaway.

Si citano qui due significativi esponenti della corrente per invitare all’ascolto e soprattutto per affermare che la musica codificata da questi artisti è quantomai moderna: nei suoi tempi e nelle sue ripetizioni è atta a interpretare correttamente lo stile di vita e i sentimenti dell’individuo contemporaneo, il quale vive e abita il suo contesto tra meccanicismi e libero arbitrio.

In poche parole è musica colta che ha saputo perfettamente catturare lo spirito del tempo.

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