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Tutto per evitare il burrone. O meglio, lo scalone. Il fronte delle pensioni si scalda ancora, quando mancano due mesi o poco più alla scadenza naturale di Quota 100. Senza una misura che possa colmare il buco lasciato dal meccanismo di uscita anticipata dal lavoro voluto dalla Lega, il prossimo anno l’età pensionabile salirà in un colpo solo da 62 a 67 anni, tornando ai dettami della vecchia legge Fornero. Addio, dunque, flessibilità in uscita, visto sul campo rimarrebbe solo l’Ape social, misura però riservata solo a determinate categorie del lavoro.

Per fortuna sul tavolo, pronte per entrare nella manovra (appena spedita a Bruxelles) una volta all’esame del parlamento, ci sono almeno un paio di proposte e tutte con lo stesso canovaccio di Quota 100: consentire l’uscita anticipata dal lavoro evitare quello scalone, temuto tanto dal governo quanto dai lavoratori. La prima proposta, che porta la paternità del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, prevede un assegno anticipato ma solo per la quota contributiva, mentre la seconda, recante la firma di Cesare Damiano, punta sulla pensione intera con penalizzazioni per la quota retributiva.

In questo caso, l’assegno viene preso immediatamente per intero, senza aspettare quattro anni e i disagi per i lavoratori sarebbero minori rispetto alla soluzione Tridico. Il minimo comun denominatore, è comunque quota 63, visto che la nuova età per lasciare il lavoro dal prossimo primo gennaio potrebbe essere appunto di 63 anni di età. E proprio con Damiano, ex ministro del Lavoro nel governo Prodi, già presidente della Commissione Lavoro della Camera e animatore dell’Associazione Lavoro&Welfare, Formiche.net ne ha parlato.

Quota 100 è ormai in scadenza. Quanto è importante trovare una soluzione alternativa che possa evitare il famoso scalone?

Comincio con una battuta: Quota 100 va in pensione. Del resto era una misura a termine, della durata di tre anni. Personalmente non l’ho mai osteggiata, però nonostante tutto si trattava più di una finestra che di una Quota. Per giunta destinata ad una platea ben definita, con una contribuzione alta, visti i 38 anni di contributi necessari. Un target a cui arrivano solo quei lavoratori che hanno avuto la fortuna di avere carriere continuative. Detto questo, con la fine di questa sperimentazione triennale, con tutti i pregi e i difetti, non possiamo tornare alla legge Fornero, tout-court.

Perché?

Perché abbiamo bisogno di poter continuare a usufruire e beneficiare della flessibilità in uscita. Parliamoci chiaro, noi abbiamo: l’Ape social, i lavori usuranti, Opzione donna, i lavoratori precoci, il contratto di espansione, l’isopensione  e poi la possibile misura sostitutiva di Quota 100. Come vede, c’è un insieme di provvedimenti che richiedono manutenzione. Il problema è capire a che punto siamo.

Damiano la manovra è ormai in vista, a breve verrà presentata al Parlamento. Forse la manutenzione si può fare proprio lì…

Sì, la legge di Bilancio sarà il contesto naturale per la partita delle pensioni, d’altronde è lì che il governo mette le risorse, il ministero dell’Economia d’intesa con quello del Lavoro. Senza risorse, addio flessibilità, torna lo scalone e torna la Fornero.

Chiaro, dobbiamo evitarlo questo scalone. Lei ha parlato di risorse, ma si sa che la coperta è corta. Facciamo due conti?

Qui comincia il terreno minato: con risorse di un qualche significato si possono fare interventi soddisfacenti, altrimenti ci fermiamo ai ritocchi. Certamente una quota di fondi dovrà essere utilizzata per l’Ape social, ma non basta. Il problema dove sta? Che se si sommassero tutte le richieste tra Ape social, Opzione donna, pensione di garanzia per i giovani e nuova flessibilità in uscita ne uscirebbe una spesa miliardaria insostenibile. In questi casi si sceglie cosa è più necessario. La Commissione lavori gravosi ha fatto una graduatoria e il risultato è che la priorità va alle mansioni operaie nel campo dell’industria, dell’edilizia e dell’agricoltura.

La priorità in manovra dovrebbe dunque essere l’Ape social, deduco…

Da una parte bisogna finanziare l’Ape sociale, dall’altra bisogna sostenere la flessibilità sostitutiva di Quota 100. Poi ci sono le altre misure, ma come ho detto la spesa è molto elevata.

A proposito di lavori gravosi, in un’intervista alla Stampa l’ex presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha criticato l’assenza di stime sulla platea di lavoratori e di costi per consentire la flessibilità a queste categorie…

I conti sono stati fatti, i costi e la platea dei lavoratori individuati. La Commissione da me presieduta si è insediata a maggio di questo anno, non due anni fa. Questa è la verità, il resto è disinformazione. Boeri deve documentarsi di più prima di parlare.

Parliamo della proposta Tridico. La convince?

La trovo una proposta che può essere presa seriamente in considerazione. Diciamo che la mia proposta, invece, prevede una percentuale del 2-3% di penalizzazione per ogni anno di anticipo dalla pensione. I costi sarebbero più leggeri per lo Stato se si alza l’età di uscita a 63-64 anni e si riducono i contributi a 35-36 anni. Con una  proposta che prevede più età e meno contributi ci  sarebbero costi inferiori.

Crede che alla fine il governo arriverà a una soluzione, diciamo strutturale?

Le possibilità di andare in pensione prima sono tante, il punto sta nel non penalizzare certe platee di lavoratori. L’Ape social per esempio si rivolge solo ai lavoratori gravosi. Bisogna capire quanto si può spendere per le altre misure, compresa quella sostitutiva di Quota 100. Lo sa che la stessa Quota 100  prevedeva  quasi 21 miliardi? Sono tanti soldi. Io dico che la flessibilità serve, ma il governo deve dirci quante risorse può metterci.

Più flessibilità, meno Fornero. La ricetta anti-scalone di Damiano

Intervista all’ex ministro del Lavoro: guai a non trovare una misura che possa sostituire Quota 100. Il problema è che intervenire in profondità costa tanto, altrimenti sono solo ritocchi. La proposta Tridico è seria ma quella mia può costare meno allo Stato e garantire il medesimo risultato

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