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L’offensiva russa in Ucraina è “fallita”. Non usa giri di parole Giorgia Meloni prima del Consiglio europeo per commentare uno scenario di “provocazioni” che sono destinate ad aumentare nel corso del tempo. I casi degli sconfinamenti russi nei cieli danesi ed estoni sono lì a dimostrarlo. La presidente del Consiglio italiana tocca questo aspetto, prima di altri, perché consapevole che la partita a scacchi con Mosca sarà ancora lunga e caratterizzata da altri stop and go. Per questa ragione invita a non reagire di pancia alle provocazioni ma, piuttosto, a ragionare in maniera lucida per provare ad uscire da questa situazione.

In primis, ha sottolineato, esiste il tentativo della Russia di impedire che i Paesi europei inviino altri sistemi di difesa antiaerea in Ucraina. In secondo luogo la Russia ha anche “la necessità di non fare notare il fatto che c’era annunciata un’offensiva estiva e che questa è fallita, penso che dobbiamo ragionare con sangue freddo, non rispondere alle provocazioni e bisogna attrezzarsi”. Il nodo verte dunque sul come. Appare di tutta evidenza come il dibattito attualmente in atto nel vecchio continente (con Washington vigile sugli sviluppi anche in chiave Nato) verta il cosiddetto muro di droni da edificare nella cintura orientale della Nato e dell’Ue, ma sul punto Meloni fa una riflessione strategica. Ovvero che “i confini dell’Alleanza sono molto estesi, per cui se facciamo l’errore di guardare solo al fianco est dimenticandoci del fianco sud rischiamo di non essere risolutivi”.

Una visione a 360 gradi del “problema-Cremlino” e non solo circoscritta ai Paesi di prima prossimità che, fisiologicamente, chiedono al vertice europeo un trattamento di favore per quanto riguarda il programma di riarmo. In questo senso l’intreccio strategico con Gaza è da attenzionare dal momento che rientra sotto l’ombrello delle politiche attive Ue e si pone come una cartina di tornasole di quella Europa, propositiva e non rinunciataria, da più parti invocata.

Quando Meloni mette l’accento (non solo uno, in realtà) sul piano Trump per Gaza, allinea due direttrici di marcia: da un lato “il sostegno europeo a un piano di pace” e l’approvazione già incassata da Paesi arabi che sono attori macroregionali, come Turchia, Egitto e Golfo. Sulla Flottilla, sostiene, “in questa fase, in un equilibrio estremamente delicato e di fronte a una possibilità che sarebbe storica, insistere in una iniziativa che ha margini di pericolosità e irresponsabilità, continuo a non capirlo”.

Un passaggio nevralgico per capire a fondo sia le conseguenze politiche del via libera al piano, che quelle geopolitiche relative alle alleanze di domani e, in tal modo, comporre un quadro unitario in cui l’Ue non sia attore secondario. Ovvero, utilizzare le crisi di Kyiv e Gaza per consentire all’Europa di farsi autorevole, anche in riferimento alla situazione in Medio Oriente. Uno sforzo doppio, che vede Roma in una veste di stimolatore costruens.

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