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Il mondo continua ad essere un luogo intrinsecamente pericoloso, caratterizzato dalla compresenza di numerose potenze, che nutrono ambizioni e temono per la propria sicurezza. La pace perpetua immaginata da Immanuel Kant nel 1793 non si è ancora materializzata, a dispetto degli innumerevoli tentativi di prepararne l’avvento. L’idea del “governo mondiale”, che pure la creazione dell’Onu reca con sé, non ha posto fine alle guerre. Il diritto internazionale cede ancora troppo spesso al diritto della forza. Siamo, inoltre, lontani dalla generalizzata affermazione di un modello democratico davvero in grado di togliere ogni attrattiva alla strada delle armi.

In ogni dato momento, la distribuzione mondiale del potere politico si modifica, per effetto del rafforzamento e del parallelo indebolimento demografico, economico e militare degli Stati, di cui i confini risentono nel tempo. La loro cristallizzazione apparente, frutto dei trattati, ne impedisce l’adeguamento costante, ma non può garantirne l’immutabilità. Chi cresce economicamente, vuole contare di più e spesso si arma, tanto per proteggere la propria ricchezza dagli appetiti altrui quanto per garantirsi meglio le condizioni che consentano al proprio sviluppo di alimentarsi più rapidamente ed efficacemente. Il comportamento degli Stati, inoltre, non è prevedibile nel lungo periodo. Un paese retto da governi miti, infatti, può cambiare natura, come successe alla Repubblica di Weimar allorquando i nazisti la trasformarono nel Terzo Reich.

L’incertezza che circonda la lotta politica a tutti i livelli è il fattore che obbliga gli Stati ad acquisire le capacità necessarie all’esercizio di una dissuasione efficace, attraverso la predisposizione di strumenti militari in grado di scoraggiare e respingere le aggressioni. La forma di dissuasione storicamente prevalente è quella tradizionale, fondata sull’allestimento di forze armate in grado di difendere i confini e il territorio degli Stati. Il suo esito è l’equilibrio di potenza, valutato empiricamente attraverso la comparazione del numero dei combattenti potenziali e delle armi a loro disposizione, convenientemente classificate in base alle loro caratteristiche.

Il gran numero di conflitti scoppiati nella storia dimostra però in modo eloquente l’instabilità di questo meccanismo, permanentemente esposto al rischio dell’errore di calcolo anche per l’impossibilità di stimare in modo accurato tutti i fattori di potenza a disposizione dei belligeranti. Ne abbiamo avuto una recente riprova ulteriore proprio nella decisione russa di invadere l’Ucraina, presa nel convincimento di assumerne il controllo in poche ore e sfociata invece in un conflitto di cui ancora non si vede la fine. È proprio nella fragilità della dissuasione tradizionale o by denial che risiede la ragione della permanente necessità di quella pura, basata su meccanismi “punitivi” che esaltano la minaccia della mutua distruzione reciproca nell’ambito di regole di fatto condivise.

Questo tipo di dissuasione si lega tuttora al possesso di un deterrente di armi non convenzionali, di norma atomiche o nucleari, il cui uso effettivo è volto a negare qualsiasi utilità al ricorso alla forza, disincentivandolo. La loro introduzione, permessa dal progresso tecnologico a partire dalla metà degli anni Quaranta del secolo scorso, doveva servire a rendere impossibile la guerra tra le grandi potenze e si è rivelata, sotto questo profilo, un successo.

Tuttavia, neanche le bombe nucleari sono riuscite ad eliminare la realtà del conflitto e si sono anzi recentemente osservate pericolose forme di erosione dell’equilibrio del terrore, tanto nell’est europeo quanto in Medio Oriente. Israele è stato più volte attaccato, pur essendo una potenza nucleare, non soltanto da terroristi ma anche da Stati ostili. Pure la Russia viene spesso colpita dal territorio ucraino senza che scatti una ritorsione nucleare per evidente difetto di proporzionalità. Sarebbe però un errore pensare che la deterrenza abbia perso il proprio significato politico-strategico, invece sempre attuale, come dimostrano le stesse ambizioni dei paesi che la desiderano.

Semplicemente, è accaduto che si sia alzata la soglia suscettibile di provocare il suo impiego operativo, ormai ricondotto alla sola fattispecie della debellatio incombente in un contesto in cui i conflitti si moltiplicano e le maggiori potenze cercano di ridurre i rischi derivanti dal loro coinvolgimento negli scontri. Di qui, le moderne tendenze delle dottrine nucleari, che tendono a smussare gli automatismi pregressi, circoscrivendo i casi d’impiego e dilatando il campo del combattimento convenzionale. Così tramonta la dottrina dell’escalation che tanto ha contribuito alla stabilità internazionale, con l’effetto paradossale di elevare diffusamente la probabilità di guerra. Forse non è di meno nucleare che avremmo bisogno.

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