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Dopo le liti in famiglia, quando l’atmosfera si rasserena (se si rasserena), si riscopre di volersi bene. Sta accadendo fra Parigi e Roma. All’Italia l’estradizione dei dieci ex-brigatisti, invecchiati al sicuro oltralpe, segnala rispetto della nostra storia, della nostra giustizia, delle nostre sensibilità.

La Francia di Macron aveva già trovato affiatamento e convergenze col secondo governo Conte. L’arrivo di Mario Draghi con invidiabile bagaglio di credibilità europea “ha dato un colpo di acceleratore”. Nei due Paesi si sta affermando la convinzione ci sia tanto da fare insieme, in Europa e nel mondo. Non c’è motivo che le altre grandi amicizie – Washington, Berlino, Londra – ne facciano le spese.

Gli alti e bassi transalpini avvengono sempre in stretta vicinanza geopolitica. La maretta del 2019 – su cui meglio stendere un velo pietoso – agitò le acque diplomatiche ma fu a malapena avvertita fuori contesto strettamente bilaterale.

Rimanevamo partner e alleati in Ue e Nato. Che si facciano i dispetti in Libia, o facciano fronte comune sul recovery fund, Francia e Italia sono sempre nello stesso campo. Per non parlare dei legami profondi fra due società civili che interagiscono quotidianamente fra loro, che sia nel cinema o nella ricerca scientifica. Lite in famiglia, appunto – chi scrive ha una Dupont materna di vecchia emigrazione napoleonica a Napoli.

Le tensioni bilaterali lasciavano ferme le bocce in politica estera ma impattavano su psiche nazionali e opinioni pubbliche. Alla radice dell’inversione di rotta c’è pertanto un radicale cambiamento di percezioni. Da parte francese si riscopre un partner affidabile. Quando sui fondi Ue anti-crisi pandemica Parigi si stacca da Berlino e si schiera con Roma spuntano gli interessi comuni, non passeggeri.

L’Italia si sente presa sul serio come Stato e come sistema politico-costituzionale grazie all’estradizione dei dieci terroristi. Importante non per riaprire tragiche pagine ingiallite degli anni di piombo, non per ribattere stantie argomentazioni intellettuali, ma per giustizia. Riconoscendocene finalmente il diritto la Francia ci libera del macigno psicologico della dottrina Mitterand.

C’è dietro le quinte un intensissimo lavoro giuridico-diplomatico che a Parigi ha visto protagonista l’Ambasciatrice Teresa Castaldo. Come sempre la chiave di volta sono stati i leader. Giuseppe Conte ha il merito della prima ricucitura. Draghi è determinante per il rilancio. I francesi lo dicono apertamente.

In lui Emmanuel Macron trova un partner d’elezione per un’agenda che spazia dall’Ue all’Africa, al Mediterraneo, alle relazioni transatlantiche alla Cina. Non che si possa essere sempre d’accordo. Ma Macron – The Last President of Europe, titolo del bel libro di William Drozdiak – ha una visione strategica dell’Europa e del mondo. Con Draghi può parlarne.

La congiuntura spinge dunque Italia e Francia a lavorare insieme. I due leader sono a proprio agio, “l’intendance suivra”. Terrà il nuovo allineamento transalpino? Dipende da tre elementi: chimica personale fra leader; mantenimento dell’apertura di credito francese all’Italia; per l’Italia, riuscire ad essere amici di Parigi senza rotte di collisione con Washington e Berlino, punti cardinali della nostra politica estera, senza dimenticare la variabile di Londra post-Brexit.

I primi due sono strettamente collegati. La Francia di Macron si fida dell’Italia di Draghi perché, mi dice un autorevole amico parigino “ha introdotto quell’elemento di serietà che i francesi, in passato, hanno ritenuto assente in Italia”.

Aneddoticamente non gli si può dare tutti i torti. Ma “basta per una trasformazione di fondo” su cui costruire un rapporto bilaterale strutturato? La domanda del dopo-Draghi è inevitabile, ce la poniamo anche in Italia.

Il terzo elemento pone un’esigenza di geometrie complesse. All’Italia serve la sponda dell’unica seria potenza militare rimasta all’Ue, membro permanente del Consiglio di Sicurezza Onu; alla Francia serve non restringere le proprie opzioni alla direttrice tedesca.

Tra partner transalpini ci vuole però equilibrio, fondato su stima reciproca e riconoscimento dei rispettivi interessi. Mediterraneo e Libia hanno suonato il campanello d’allarme di cosa succede quando Roma e Parigi si dividono nel comune vicinato: altri ne approfittano.

Per portare avanti un rapporto strategico italo-francese occorreranno politiche estere mature e inclusive. Non c’è spazio per concorsi di bellezza fra capitali. Di Berlino abbiamo bisogno tutti e due. Di Washington, idem. La Nato rimane il cardine della sicurezza europea.

La geometria dell’Ue non può essere ridotta a rette o triangoli. La ritrovata amicizia italo-francese è un nuovo punto di forza nella famiglia europea e atlantica. Non andrà però molto lontano se la divide. È responsabilità di Roma e di Parigi evitare che questo accada.

Ecco le tre ragioni dell’asse fra Draghi e Macron

L’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi ha segnato il ritorno di una serietà che Parigi riteneva assente da tempo nella politica italiana. Ma l’asse transalpino rinsaldato con Macron ha anche a che vedere con una Germania da cui la Francia si sente accerchiata. L’analisi di Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi, già rappresentante permanente dell’Italia alla Nato

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