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Lo scorso settembre il gigante tech cinese Huawei prese il mondo in contropiede lanciando uno smartphone basato su un chip prodotto in casa a 7 nanometri. Cosa che gli osservatori del settore non ritenevano possibile, visto il grado di maturazione dell’industria dei semiconduttori cinese, la dipendenza dall’estero e il regime di controllo delle esportazioni occidentali. Anche al netto di legittimi dubbi sulla provenienza dei macchinari e la capacità di Huawei di poter produrre questi chip in massa, si è trattato di un successo mediatico, subito cavalcato dalla propaganda cinese per glorificare “la capacità del Paese di condurre ricerca e sviluppo tecnologico indipendente nonostante le sanzioni statunitensi”.

A pochi mesi di distanza, sembra che Huawei abbia alzato ancora l’ambizione: vorrebbe lanciare una nuova gamma di processori per smartphone a 5 nanometri, ancora più avanzati e più vicini allo stato dell’arte attuale di 3 nanometri, già nel 2024. Secondo il Financial Times il campione nazionale di chip (Smic) avrebbe costruito due nuove linee di produzione per poter produrre in massa questi nuovi semiconduttori progettati da Huawei. Un obiettivo sconcertante, dato che in stretta teoria le realtà cinesi non dovrebbero avere accesso né ai software di progettazione più recenti, né ai macchinari litografici (gli “stampi” dei chip) capaci di scendere sotto ai 7 nanometri.

Citando due persone con conoscenza diretta dei piani, FT spiega che Smic intende utilizzare la sua attuale scorta di apparecchiature statunitensi e olandesi – importati prima che si stringessero le maglie dei controlli alle esportazioni – per produrre chip a 5 nanometri. I quali, pur essendo una generazione indietro rispetto ai campioni attuali, dimostrerebbero che l’industria cinese dei semiconduttori sta facendo progressi nonostante gli sforzi del triangolo Usa-Olanda-Giappone. Grasso che cola per le ambizioni di Xi Jinping, che per far raggiungere al Paese l’autosufficienza produttiva sul lato dei chip sta spendendo una cifra comparabile a quella impiegata per il suo arsenale nucleare.

Oltre al successo commerciale degli smartphone di Huawei – una divisione che fu tramortita dalle politiche della presidenza di Donald Trump – lo sviluppo avrebbe riflessi ben più strategici sul settore dell’intelligenza artificiale. Poter produrre chip a 5 nanometri significa potenziare i chip IA della casa cinese come l’Ascend 920, stando alle fonti di FT, riducendo il divario tra i prodotti cinesi e i richiestissimi semiconduttori di Nvidia. Le versioni più potenti di questi ultimi non si possono più esportare verso la Cina dopo l’ultimo giro di vite dato dalla Casa Bianca di Joe Biden a ottobre; un’alternativa valida e Made in China accorcerebbe la distanza tra la potenza di calcolo che gli alleati occidentali e i Paesi non allineati possono impiegare applicando l’IA alle rispettive sfere economiche e militari.

Le medesime fonti hanno spiegato a FT che Smic ha anche aumentato la capacità di produzione di chip a 7 nanometri. Operazione che ha portato costi aggiuntivi: altri tre addetti ai lavori hanno detto alla testata britannica che il chipmaker cinese deve far pagare i suoi prodotti dal 40 al 50% in più rispetto a quelli prodotti dal leader taiwanese Tsmc (e progettati da realtà occidentali). Anche la resa produttiva – intesa come la percentuale di chip abbastanza riusciti da poter essere venduti – sarebbe inferiore di un terzo rispetto a quella di Tsmc. Insomma, è costoso sforzare l’industria per ottenere risultati; tanto che degli analisti si chiedono se queste operazioni non siano un modo di Huawei e Smic di dimostrare a Pechino di poterlo fare, e dunque battere cassa.

Il balzo in avanti, se efficace, sarebbe sicuramente un risultato impressionante. Ma non è l’unico segno di affaticamento: Quartz rileva che Huawei starebbe rallentando la produzione di chip per smartphone avendo dato priorità ai chip per l’IA. E nemmeno le prospettive sul medio-lungo termine sono rosee. Le nuove linee produttive di Smic sono basate (anche) sui macchinari litografici avanzati dell’olandese Asml che le industrie cinesi hanno importato in massa prima che entrasse in vigore il nuovo divieto di vendita a inizio 2024. Quello è forse il collo di bottiglia maggiore, perché la filiera per costruirli (e mantenerli) è, possibilmente, la più complessa del globo. E mentre le industrie occidentali si accingono a produrre chip a 2 nanometri, è probabile che il distacco cinese torni ad aumentare – ammesso che reggano i controlli alle esportazioni.

Chip sovrani di Huawei. Autonomia produttiva o boutade industriale?

Dopo il lancio del chip a 7 nanometri, l’industria cinese stupisce ancora con l’obiettivo di produrre quelli a 5 nanometri già nel 2024. Un risultato del genere ridurrebbe il divario tecnologico tra Cina e Occidente, anche sul versante IA. Ma le difficoltà non mancano, e la prospettiva per il medio-lungo termine rimane fosca

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