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Secondo il primo ministro libico, Abdelhamid Dabaiba, quelli che ha definito mercenari stranieri gli hanno impedito di atterrare all’aeroporto di Sirte, anche se lui era un “libico e l’aeroporto è su suolo libico”. Sirte è una città sul golfo omonimo, al centro della Libia. È nota per essere stata terra natia e mortale del rais Gheddafi, per aver fatto da “fiorente capitale” dello Stato islamico dal 2015-2016, e per essere il punto di cessate il fuoco dell’ultima guerra civile tra Tripolitania e Cirenaica.

Geograficamente è disposta in una ipotetica linea di divisione est-ovest, sebbene appartenga culturalmente alla Tripolitania. La situazione in città è questa: all’interno ci sono le milizie riconducibili al signore della guerra di Bengasi, Khalifa Haftar, mentre all’esterno ci sono le milizie tripolitane che lì hanno fermato la loro controffensiva sostenuta dalla Turchia. Ma Dabaiba parla di “mercenari stranieri” perché nell’area sono presenti anche uomini del Wagner Group, unità di contractor armati che viene spesso associata al lavoro sporco del Cremlino.

Questi, secondo varie tipologie di denunce pubbliche (dall’Onu a AfriCom), avrebbero addirittura costruito una cinta protettiva che collega Sirte a al Jufra, una città dell’entroterra che ospita una base aerea in cui si trovano Mig e Sukhoi russi (trasferiti dalla Siria su ordine di Mosca ma senza insegne identificative, secondo lo schema della guerra ibrida putiniana). Quando Dabaiba parla di quei mercenari, anche se non fa riferimento esplicito, non può che intendere i russi – o al limite una serie di contractor africani (ciadiani e sudanesi) che sono stati ingaggiati dai finanziatori di Haftar per la guerra che c’è stata tra aprile 2019 e ottobre 2020. Altri contractor, siriani spostati dalla Turchia, non hanno il controllo dell’interno della città.

In queste stesse ore, in una dichiarazione pubblicata sul profilo Facebook dell’operazione “al Bunian al Marsus”, il raggruppamento con cui le milizie dell’Ovest hanno coordinato la controffensiva all’assalto haftariano, il comandante della “Sirte Al-Jufra Operations Room” ha puntualizzato: “Abbiamo stabilito 3 condizioni per l’apertura della strada costiera, che sono un cessate il fuoco, lo sgombero delle mine e il ritiro dei mercenari”. Si tratta della strada costiera che collega l’est con l’ovest della Libia, collegamento in cui l’Italia ha un ruolo chiave nei lavori di costruzione di una futura infrastruttura autostradale.

L’argomento della messa in sicurezza dell’attuale strada costiera, tanto quanto la questione delle milizie e dei mercenari stranieri, è stato discusso fino a ieri, giovedì 29 aprile, nelle riunioni del Comitato militare “5+5”, organismo composto da egual numero di comandanti della Tripolitania e della Cirenaica – e che, come il governo Dabaiba, si muove sotto egida dell’Onu da quando è stato negoziato il cessate il fuoco a ottobre scorso. Secondo i membri dell’Ovest ci sono diverse incomprensioni legate agli haftariani; secondo il direttore del Dipartimento Affari Morali della milizia di Haftar “il problema della regione occidentale è nei gruppi armati che non sono soggetti a controllo, e non possono essere integrati e affrontati, forse perché hanno idee terroristiche e sono coinvolti in operazioni di contrabbando”.

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