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Con l’approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, del piano Ngeu inizia la discussione parlamentare. C’è da augurarsi che questo sia l’avvio di un confronto ampio e a tutti i livelli. Il Paese ha di fronte a sé una straordinaria occasione. Sapremo coglierla? Sì, se tutti la sentiremo come nostra. Ecco perché c’è da aspettarsi che soprattutto le forze sociali e le amministrazioni locali se ne occupino entrando nel merito con proposte operative.

I dati prospettati da Mario Draghi nella presentazione del piano sono crudi ed espliciti. Indicano un gap tra l’Italia e il resto d’Europa preoccupante. Ognuno, quindi, deve fare la sua parte. La devono fare le imprese e i sindacati, chiamati a un recupero di produttività e a un salto tecnologico intensi. La devono fare le associazioni ambientali chiamate a una conversione ecologica capace di misurarsi con lo sviluppo. La devono fare le associazioni del sociale per dar vita a un welfare comunitario. Ma, non ultimi, devono affrontare di petto il tema le amministrazioni locali. Per loro resilienza deve voler dire ripensare alla città, alla sua vivibilità ambientale, urbanistica, abitativa.

Se penso a Venezia, al suo fragile equilibrio naturale, esposta com’è ai cambiamenti climatici e allo sfruttamento intensivo del suo territorio, ma anche alle grandi potenzialità che la rendono una città particolarmente adatta ad essere un esempio di sostenibilità; verso la quale c’è una attenzione costante dell’opinione pubblica internazionale, ne colgo tutte le caratteristiche per assumerla come un laboratorio italiano di resilienza. Il Parlamento stesso ha affrontato il tema nella risoluzione preparata dal Senato il 23 marzo. In essa si propone un “grande progetto europeo per Venezia in grado di tutelare il patrimonio storico, culturale della città ed il patrimonio naturale della Laguna, nonché le imprese e la vita degli abitanti”. Per “diventare un modello esemplare di economia e società sostenibile e compatibile con gli obiettivi del Pnrr”.

Venezia è una metropoli globale e potremo, dunque, definire questo progetto di dimensione europea, ma preso in carico dal governo italiano, per l’obiettivo che ci si propone: fare di Venezia un esempio di città viva e città verde d’Europa.

Per riuscirci, e il Recovery plan è l’occasione giusta, è necessario partire da una condizione preliminare: il ripopolamento della città! Da anni Venezia e Mestre si spopolano. Nella città d’acqua il dato ufficiale è di poco superiore ai 50 mila residenti, quando solo una generazione fa erano più del doppio e nel ‘500 era una delle città più popolate d’Europa. Addirittura si sostiene che anche questo dato sia gonfiato, se lo si confronta con gli iscritti al servizio sanitario che supererebbero di poco le 30 mila unità. Ma anche a Mestre stanno calando i residenti… Aver piegato la città all’invasione non regolata del turismo di massa giornaliero ha cambiato la sua identità: i prezzi sono aumentati, i servizi essenziali ridotti, la vivibilità è diventata faticosa. La pandemia ha reso clamorosamente evidente tutto ciò. Sono spariti i turisti e si vede quanto pochi siano i veneziani, ma si vede anche quanto protagonisti possano essere del loro spazio urbano. Venezia nella pandemia si è riscoperta comunità. Bisogna ripartire da qui. Un piano di residenzialità può basarsi su un importante finanziamento di rigenerazione delle abitazioni. Sono migliaia quelle di proprietà pubblica e molte chiuse. Altre abitate, ma in pieno degrado. Se le amministrazioni pubbliche fanno da volano e da esempio, si potrà autorevolmente aprire un dialogo con i proprietari privati per incentivarli ad affittare a residenti stabili o di lungo periodo.

Ma è impensabile che un piano di residenzialità abbia successo se accanto a case confortevoli e a prezzi accettabili, non si offre il lavoro. Ecco allora l’urgenza di stimolare attività alternative al turismo. Il turismo, sia chiaro, è per Venezia una risorsa irrinunciabile, ma non può più essere la sola risorsa. Regolare i flussi di accesso del turismo giornaliero attraverso un sistema di prenotazione e di hub distribuiti nel territorio consentirà di non perdere una parte di visitatori, senza stressare la città. Ma, se vogliamo evitare di ricadere nell’errore degli anni scorsi, bisogna attivare occasioni di lavoro alternative. Le idee non mancano: dal portare a Venezia istituzioni internazionali, allo sviluppare l’artigianato e l’industria locale tipici della tradizione storica veneziana (nautica, tessuti, restauro, produzione culturale e cinematografica, agroalimentare,…); alla rinascita di porto Marghera con produzioni green (idrogeno ad esempio), al porto, sia quello off shore, ormai necessario se si vuole restare competitivi, ma rispettare i limiti naturali della Laguna, sia quello interno che rappresenta, per molte merci, la più diretta via di accesso da oriente verso il centro e l’est Europa. Una città che lavora, dunque, è una città viva e dove si vive. Già oggi sono molti quelli che per lavoro si recano quotidianamente a Venezia, ma sono costretti a non vivere in città: operatori turistici, della sanità, della istruzione, della cultura e della pubblica amministrazione) e, sempre più, con lo sviluppo del lavoro a distanza, saranno le persone che vorranno lavorare a Venezia per un lungo periodo, ma che hanno bisogno di un’abitazione a prezzi sostenibili.

Insomma, si tratta di perseguire un’idea di città a misura di chi la vive e nella quale gli ospiti, ben accetti, si inseriscano in un tessuto urbano vivo e ne apprezzino la vitalità, non solo i monumenti.

Per questo, il disegno si completa con un grande intervento ambientale. L’intero territorio veneziano: il complesso delle lagune e delle sue isole, abitate e non; l’insieme delle acque circostanti, dei fiumi, delle risorgive; i parchi e il sistema di fortificazioni storiche, rappresentano un patrimonio ambientale straordinario che va difeso, recuperato e sviluppato. Ma, anche il miglioramento della qualità dell’aria, in rapporto ai molteplici fattori di inquinamento, fa parte di questo straordinario intervento ambientale.

Casa, lavoro, ambiente, dunque, è ciò di cui ogni comunità ha bisogno per prosperare. Per Venezia, che è di fronte a un bivio su quale futuro scegliere, tutto ciò è ancora più impellente. Serve, dunque, una svolta, un cambio di passo, una volontà politica e sociale, prima di tutto veneziana, ma non solo. In molte altane, balconi o finestre della città sono esposte lenzuola con la scritta: “Venezia è viva”. È una affermazione ed un proposito. Diventi un impegno!

Venezia, città verde. La sfida di Next generation Eu secondo Baretta

Al Senato è stata presentata una risoluzione che prevede un “grande progetto europeo per Venezia in grado di tutelare il patrimonio storico, culturale della città ed il patrimonio naturale della Laguna, nonché le imprese e la vita degli abitanti”, per “diventare un modello esemplare di economia e società sostenibile e compatibile con gli obiettivi del Pnrr”. Con l’obiettivo di fare di Venezia un esempio di città viva e città verde d’Europa. L’intervento di Pier Paolo Baretta, presidente Res e consigliere comunale di Venezia

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