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A occhio e croce potrebbe sembrare una crisi di rigetto. E forse lo è. Byd, l’unicorno industriale cinese che sta riscrivendo gli equilibri dell’automotive globale, sta mettendo in seria, serissima, difficoltà gli stessi costruttori del Dragone. Quelli, giusto per intendersi, con le spalle più piccole e poco foraggiati dai generosi sussidi statali. Perché in Cina funziona più o meno così: chi vende di più, incassa di più dal governo, dando vita a una vera e propria corsa a perdifiato. Una storia raccontata per la prima volta proprio da questo giornale, qualche mese fa. Ma che ora si arricchisce di nuovi elementi.

Non bastava, infatti, che Byd, casa che vende auto green al 30% in meno del mercato e con linee di produzione che viaggiano a doppia velocità rispetto a quelle europee, si fosse trasformata in una sorta di asso pigliatutto, con oltre un terzo del mercato cinese nella sua mano, lasciando agli altri costruttori le briciole. Adesso si aggiunge un altro problema, quello dei concessionari, che poi sarebbero il terminale della filiera automotive. Byd produce e immette sul mercato così tanti veicoli che i saloni auto non sanno più dove metterli. E poi c’è una questione di offerta.

Se si sfornano più auto di quante se ne chiedano, i prezzi crollano e i concessionari vedono ridursi i propri margini. Se poi, come accaduto due settimane fa, il costruttore di Shenzhen, decide di tagliare i prezzi sul listino delle auto brevi manu, ecco che la combo diventa micidiale: troppi veicoli e troppa poca domanda domestica uguale prezzi giù e meno ricavi per i concessionari. E prezzi alla fabbrica ridotti, uguale la stesso risultato. Per questo l’associazione dei saloni auto in Cina ha chiesto al governo di adoperarsi affinché inviti Byd a frenare la produzione.

Attenzione, non è finita qui. C’è anche un problema geopolitico in casa Byd e che chiama direttamente in causa il Global South. Vale a dire quel blocco di Paesi a sud-est della Cina che Pechino vorrebbe ancor di più nella sua orbita, strappandoli alle influenze dell’India e degli Stati Uniti. Ebbene, proprio in quest’area Byd sta combinando un altro guaio. Quale? La guerra dei prezzi scatenata dalla casa automobilistica si Shenzhen, come detto, sta minacciando la sopravvivenza di tutti i produttori minori, come, tra gli altri, Leapmotor e Geely. Non è certo un caso che Wen Janjuin, presidente di Great Wall Motor, abbia usato un paragone per cuori forti: l’attuale crisi dell’auto in Cina richiama alla mente quella immobiliare, innescata dal collasso di Evergrande. In effetti fu anche lì un problema di prezzi e di eccesso di offerta, ma questa è un’altra storia.

Ora, con i piccoli costruttori con l’acqua alla gola per colpa di Byd, per sopravvivere e resistere, le case dovranno per forza di cose ridurre alcuni servizi, a cominciare dalla manutenzione post vendita e garantita a tutta una serie di agevolazioni per lo smaltimento dell’auto, una volta vetusta. Morale? Molti Paesi del Global South, tra i maggiori fruitori al mondo di auto elettriche cinesi, rischiano di ritrovarsi tra le mani un parco auto vecchio e non più rinnovabile in poco tempo, perché la manutenzione dovranno pagarsela gli automobilisti e non sarà più a carico delle case. Senza considerare il problema dell’inquinamento, visto che tra i servizi citati rientrava anche lo smaltimento delle batterie. E ancora, qualora l’avanzata di Byd non si arrestasse, rimarrebbero in piedi solo una manciata di costruttori, che farebbero il loro prezzo. Con tanti saluti alla concorrenza.

Byd, effetti collaterali indesiderati. Anche per il Global South

La guerra dei prezzi al ribasso scatenata dall’unicorno cinese dell’auto ha messo in ginocchio i costruttori minori del Dragone e ora rischia di spingere all’angolo anche i concessionari. E provocando un effetto a cascata anche sui Paesi del Global South

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