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Inutile girarci intorno. Per gli Stati Uniti, per Joe Biden, oggi l’escalation fra Israele e Palestina non campeggia in cima all’agenda diplomatica. Brian Katulis, senior fellow del Center for American Progress ed esperto di Medio Oriente, avvisa i naviganti: non ci sarà un immediato intervento dell’amministrazione Usa per raffreddare la polveriera di Gaza. Nell’attesa però, l’Europa e il Vaticano possono fare la loro parte.

Katulis, gli Stati Uniti interverranno?

È una situazione in evoluzione, qualsiasi commento potrebbe essere smentito nel giro di un giorno. L’amministrazione Biden ha già messo un piede in questa crisi provando a mediare e a lavorare coordinandosi con i partner regionali per una de-escalation. I più alti ufficiali dell’amministrazione sono a stretto contatto con israeliani e palestinesi, Egitto e Giordania stanno giocando un ruolo chiave dietro le quinte.

Il Medio Oriente non sembra in cima alla lista di questa amministrazione.

È vero, i primi cento giorni dell’amministrazione si sono concentrati sulle priorità domestiche, in particolare pandemia e ripresa. E anche nel mondo le priorità sono state altre, Cina, Russia, cambiamento climatico. Fatta eccezione per la diplomazia indiretta con l’Iran e i tentativi di risolvere la crisi in Yemen, il Medio Oriente non è mai stato in cima alla lista. Ma le cose ora potrebbero cambiare.

Come?

Lo abbiamo visto con tante amministrazioni americane recenti: il Medio Oriente riesce sempre a invertire all’improvviso l’ordine delle priorità dell’agenda diplomatica. Da ora in poi aspettiamoci un crescendo di attività nella regione e di diplomazia di crisi da parte degli Usa. Saranno gli eventi a dirci se si trasformerà in un nuovo, profondo impegno strategico.

Cosa può fare Biden?

Diplomazia, è l’unica via possibile. Prima di qualsiasi mossa bisogna allentare la tensione, mettere in campo una strategia di sicurezza regionale equilibrata coordinata con gli alleati più stretti, e con l’Europa.

Con Trump sarebbe andata diversamente?

L’approccio di Biden per il Medio Oriente è ancora in via di definizione, finora si è limitato a poche virate tattiche dall’amministrazione Trump, la più clamorosa delle quali è l’allontanamento dalla strategia della “pressione massima” contro l’Iran.

Siamo alle porte di un conflitto aperto?

Lo vedremo in questi giorni. A Gaza il governo israeliano e Hamas sembrano avere una relazione quasi simbiotica che può portare a una spirale di escalation. L’Egitto è al lavoro per un cessate-il-fuoco, non sarà facile. Soprattutto alla luce delle interferenze di tanti estremisti nella regione, incluse forze proxy dell’Iran, che stanno cavalcando il caos.

Cosa ha spinto Hamas ad attaccare?

Non è chiaro perché Hamas abbia forzato la mano, in questi mesi ha sempre dichiarato di voler partecipare pacificamente alle elezioni palestinesi. Sono state rimandate dalla leadership dell’Autorità palestinese. Alcuni ufficiali di Hamas hanno voluto sfruttare l’occasione per fini politici a Gerusalemme.

Hamas è supportata da attori esterni?

Sappiamo molto bene e da anni che molti degli estremisti nella Striscia di Gaza hanno ricevuto supporto da attori regionali come l’Iran, alcuni dei gruppi radicalizzati palestinesi lo ammettono apertamente. È un fattore di cui tenere conto in qualsiasi strategia diplomatica con gli alleati regionali.

Cosa possono fare Italia e Vaticano per mediare?

L’Europa, l’Italia e il Vaticano possono giocare un ruolo costruttivo, soprattutto nel medio-lungo termine. Per il momento, credo che il centro di gravità della crisi diplomatica rimarrà nelle mani di attori regionali come Egitto e Giordania.

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