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Il Covid, con effetti annessi e connessi, ha scosso le fondamenta dell’equilibrio globale. Ma siamo sicuri che prima della pandemia quell’equilibrio fosse solido? Nel suo ultimo libro “Geopolitica e pandemia: verso un nuovo ordine mondiale?”, Gianluca Ansalone non tratta il Covid come un cigno nero, bensì come la terza crisi sistemica in pochi anni (con l’attacco terroristico dell’11 settembre del 2001 e la crisi finanziaria del 2008), ovvero i chiari segnali di scosse sismiche negli equilibri del globo.

Tutti e tre gli eventi sono sintomi di un mondo infinitamente complesso, dinanzi al quale la nostra capacità di reagire sembra indebolita. “Abbiamo perso il senso della profondità strategica”, ha detto Ansalone parlando al webinar di presentazione del libro, organizzato dal Centro Studi Americani in collaborazione con la Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. Dalla guerra fredda, in cui il pericolo era ben definito, si è passati per gli anni Novanta – che lui definisce il “periodo della grande distrazione” – in cui individui, classi dirigenti e Stati orfani del familiare bipolarismo non hanno visto (o non hanno voluto vedere) i semi dell’instabilità globale di un mondo che stava provando a trovare una nuova configurazione.

In quegli anni era diffusa l’idea di utopia antipolitica, ha spiegato Giovanni Orsina, professore di Storia contemporanea e direttore della School of Government della Luiss, l’idea che si potessero superare le strutture di potere nazionali e incardinare gli equilibri globali sugli individui protetti dal diritto. Dunque si è arrivati alle crisi sistemiche in un momento in cui la dimensione della politica, del potere e del pericolo era passata in secondo piano, in cui in Occidente si stava consumando l’inizio della rottura del rapporto tra classi dirigenti e classi dirette.

“Abbiamo avuto in questi anni un mondo senza punti di riferimento, condizione accentuata dalla pandemia”, ha rimarcato Marco Minniti, già ministro dell’Interno e presidente di Med-Or. È chiaro che esistono ancora le grandi potenze – militari, ma anche economiche e demografiche – ma i punti di riferimento classici, tipici del mondo diviso in blocchi, sono scomparsi, e le organizzazioni di governo internazionale sono in “difficoltà straordinaria”.

Per Minniti la globalizzazione ha rallentato a causa della pandemia, ma non è “né finita né reversibile”. E il Covid ci ha trovati con “la guardia abbassata”, ha spiegato il direttore sanitario del Galeazzi di Milano Fabrizio Pregliasco, appunto per l’azione combinata di globalizzazione, sfiducia nelle istituzioni e nel valore della scienza. Il resto, come si dice, è storia.

Per Ansalone il post-pandemia sarà “un’altra fase di riconfigurazione di pesi e ordini a livello mondiale”, in cui “rischiamo di essere travolti dalla gestione di questa complessità”. In Occidente manca la fiducia, bene non essenziale nei regimi autocratici ma collante fondamentale tra individui e istituzioni nelle società democratiche. Già prima del Covid la fiducia tra politica, scienza e cittadini vacillava; per ridisegnare il domani occorre ricostruire quel rapporto, basandolo sulla “capacità dei cittadini di compartecipare alle grandi decisioni strategiche attraverso il riconoscimento del valore”.

Questo occorre per affrontare le sfide che caratterizzeranno il futuro prossimo, fatto di rischi asimmetrici (enti non statali ma con effetti sistemici immensi). La materia è pressante, ha detto Ansalone, perché a prescindere dalla natura della prossima crisi sistemica – un batterio resistente agli antibiotici, un attacco informatico su larga scala, o semplicemente il cambiamento climatico – la risposta delle società deve essere efficace, basata sui fatti e sulla competenza.

Per Giampiero Massolo, presidente di Fincantieri e dell’ISPI, quello che conterà nell’equilibrio globale post-Covid non sarà un multilateralismo accresciuto, ma l’efficienza nel competere – a livello sistemico. Lo “scollamento” tra Usa e Cina stava avvenendo già prima del Covid, ha spiegato; questo nuovo bipolarismo non sarà necessariamente il punto di approdo del nuovo ordine mondiale, ma quest’ultimo verrà certamente definito dalla competizione tra le macro-aree del mondo (più o meno sovrapponibili alle grandi potenze).

Ne consegue che il futuro sarà definito dall’efficienza dei diversi sistemi istituzionali, secondo Massolo. Per usare le parole di Minniti, un mondo perennemente attraversato da cooperazione e competizione, come accade anche tra Paesi amici. In questo mondo l’Europa nel suo complesso è un attore di peso, un “grande baricentro democratico del pianeta e dell’Occidente” secondo l’ex ministro. Naturale dunque “fare squadra con gli Usa”, ha detto Massolo, per creare una “vera autonomia strategica” (rispetto alla Cina) che consenta all’Occidente di ritagliarsi il proprio spazio nel mondo che verrà.

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