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Nessun gruppo ha ancora rivendicato la responsabilità di diversi attacchi, quasi simultanei, contro obiettivi militari nel Myanmar centrale. Tra questi alcuni hanno colpito basi aeree, le stesse da cui recentemente erano partiti raid contro gruppi etnici armati nelle aree di frontiera della nazione.

Il 29 aprile, militanti non identificati hanno lanciato razzi contro le basi dell’aeronautica di Magwe e Meiktila, nel Myanmar centrale. Un’altra esplosione c’è stata in un deposito di armi dell’esercito del Myanmar vicino alla città di Bago, a circa 70 chilometri a nord di Yangon. Questi attacchi sono avvenuti dopo intensi combattimenti tra l’esercito del Myanmar, noto come “Tatmadaw”, e ribelli etnici del Karen National Liberation Army (KNLA) al confine con la Thailandia.

Gli analisti della sicurezza, secondo l’Asia Times, ritengono che questi operazioni misteriose siano probabilmente frutto di un’alleanza tra ribelli etnici e dissidenti pro-democrazia di base urbana, con i primi che che hanno fornito le armi e i secondi la conoscenza delle condizioni locali nel cuore del paese.

Stando a questo genere di valutazioni, si può presupporre che non siano stati attacchi isolati, ma che potrebbe esserci un coordinamento da parte della opposizioni. E questo potrebbe significare che la crisi in Myanmar rischia di trasformarsi in una guerra civile di lunga durata e di bassa intensità, mentre gli scontri si stanno diffondendo tra le aree delle minoranze etniche alla periferia della nazione e alle principali città e cittadine.

Tre mesi dopo che l’esercito ha (ri)preso il potere togliendolo al governo eletto dal popolo, e nonostante il fatto che l’esercito e la polizia abbiano ucciso più di 750 manifestanti e oltre quattromila arrestati, le persone stanno ancora coraggiosamente scendendo in piazza per sfogare la loro rabbia contro il ritorno dei generali.

La resistenza popolare si rafforza; il leader militare Min Aung Hlaing resta ostinato nonostante la crescente condanna internazionale che sta isolando profondamente il paese; iniziano critiche contro l’efficacia della sua azione. E questo è un fattore negativo – perché se dovesse subire diserzioni allora potrebbero portarsi dietro armi e competenze, rafforzando così le opposizioni, inasprendo gli scontri, allungando i tempi della lotta.

Sviluppi recenti, inclusi gli attacchi alle basi aeree militari, “hanno aperto un vaso di Pandora” scrive Asia Times. La possibilità è quella di scenari che erano in gran parte imprevisti quando i carri armati sono entrati nella città principale di Yangon tre mesi fa e decine di parlamentari eletti e altri politici sono stati arrestati e detenuti nel capitale Naypyitaw.

Il Tatmadaw ha bombardato i ribelli non discriminando villaggi civili. Oltre 25mila abitanti di un villaggio nello stato di Kayin e di almeno 5mila nello stato di Kachin sono stati sfollati. Ciò si aggiunge alle decine di migliaia di persone che sono fuggite dalle loro case durante i precedenti combattimenti nelle aree. Mentre molti attivisti pro-democrazia si sono rifugiati, per sfuggire alle persecuzioni, in aree del nord del paese.

Tutto mentre il grande attore, la Cina, osserva nervosa: per Pechino, la crisi birmana è un fastidioso disastro comunque proceda. La Repubblica popolare ha bisogno del Myanmar (geopoliticamente), e ha soprattutto bisogno che il paese e la regione – l’area di proiezione sull’Oceano Indiano – siano stabili. Tutto l’opposto quello che rischia di innescarsi.

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L’aumento dell’intensità e della qualità degli attacchi, la fusione di interessi tra gruppi pro-democrazia e ribelli etnici armati, la violenza del Tatmadaw. Per il Myanmar il rischio è di trasformarsi in una guerra civile di lunga durata

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