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Attrezzarsi nel minor tempo possibile per produrre il vaccino in casa, per tentare di far coincidere il picco della terza ondata con l’inizio di una vaccinazione nazionale di massa. Il piano del ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti (che questa mattina ha incontrato il commissario Ue alla Salute, Thierry Breton) per un vaccino made in Italy prende lentamente forma. L’industria farmaceutica italiana è pronta alla riconversione di parte dei siti in favore delle linee produttive in grado di realizzare il siero anti-Covid e Farmindustria, in rappresentanza dell’intero comparto, ha già avviato lo scouting delle big pharma con i requisiti per tale operazione. Ma ci sono dei tasselli mancanti, senza i quali non è possibile procedere. In due parole parole, incentivi all’industria.

LA ROAD MAP DI FARMINDUSTRIA

L’industria del farmaco italiano ha le idee chiare sulla tabella di marcia. “Il ministro Giorgetti ha espresso la volontà di collaborare con l’industria farmaceutica per far sì che anche l’Italia possa dare un contributo alla produzione dei vaccini. Stiamo cercando di capire quali sono i bioreattori disponibili in Italia e quanti sono. Stiamo valutando questi fattori per mettere in atto questo piano strategico di produzione entro fine anno” ha spiegato oggi Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, intervenuto su Radio Capital.

Scaccabarozzi sa bene che la riconversione dei siti e delle linee produttive richiederà alcuni mesi e che la bacchetta magica non ce l’ha nessuno. “Non è un problema che si può risolvere in pochi giorni, serve tempo per adeguare le macchine ma l’Italia deve far parte di questo network di produzione europea perché ha un’industria d’eccellenza. Molti dicono che le produzioni sono in ritardo, ma in realtà sono i vaccini ad essere arrivati in anticipo. Nessuno si sarebbe mai aspettato che potessero essere disponibili in così poco tempo”.

L’ASSO DI GIORGETTI

E qui entra in gioco il governo, o meglio il ministero dello Sviluppo Economico. I quale dovrà necessariamente accompagnare il percorso di riconversione delle aziende farmaceutiche. Gli incentivi cui si sta lavorando al dicastero di Via Veneto vanno in due direzioni. Da una parte delle norme ad hoc per fluidificare al massimo la burocrazia che incombe sempre quando si parla di riassetto della produzione. E dunque, un taglio secco alla tempistica per l’ottenimento delle autorizzazioni necessarie a produrre. Dall’altra, il Mise è pronto a sfoderare i cosiddetti contratti di sviluppo. Di che si tratta?

Di una semplificazione ibrida, composta da finanziamenti agevolati e contributi a fondo perduto destinati agli impianti industriali, in forma di conto impianti. In altre parole, contributi per i quali l’impresa beneficiaria può essere vincolata a mantenere in uso le immobilizzazioni materiali cui essi si riferiscono per un determinato periodo di tempo, stabilito dalle norme che li concedono. ,A 13 anni dalla loro introduzione, rappresenta il principale strumento agevolativo dedicato al sostegno di programmi di investimento produttivi strategici ed innovativi di grandi dimensioni.

MEGLIO TARDI CHE MAI

Ora la domanda è: il gioco può riuscire? Formiche.net ha sentito il parere di Carlo Stagnaro, economista e direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni. “Questa è un’operazione necessaria per il Paese, sarebbe però un errore pensare che si possa fare in poco tempo. Tutto ciò premesso, credo che sarebbe stato meglio pensarci prima, invece di inseguire chimere. Meglio tardi che mai, però come spesso accade ci siamo mossi tardi”.

Per quanto riguarda gli incentivi allo studio per il settore farmaceutico, chiamato a una trasformazione non banale, Stagnaro sottolinea l’importanza di un contributo da parte dello Stato. “Questo è il classico caso in cui l’auto economico e normativo è doveroso. Però non capisco perché il problema non si sia posto a dicembre, l’operazione è complessa, a cominciare dall’adeguamento dei macchinari, forse serviva svegliarsi prima. Vista l’importanza del vaccino per uscire da questa situazione, occorre però tentare e possibilmente riuscire. Non dimentichiamoci di una cosa. Con ogni probabilità noi dovremo prendere il vaccino ogni anno o quasi, dunque questa è una riconversione forse non temporanea, ma strutturale. Meglio mettere soldi per aumentare la capacità produttiva del vaccino che scoprire di non averne. D’altronde se in Italia c’è un settore su cui non si deve tagliare è proprio il farmaceutico”.

LE COLPE DELL’EUROPA

Certo, il ritardo dell’Italia sui vaccini è, forse, figlio di una generale confusione a livello europeo. Qualcosa a Bruxelles non ha funzionato nella strategia vaccinale. “Indubbiamente, il ritardo dell’Europa rispetto ad altri contesti, è significativo. Il fatto è che forse in Europa qualcuno ha deciso di andare a risparmio, facendo il parsimonioso e alla fine queste cose si pagano. Anche a livello autorizzativo, l’Ema si è mossa tardi, sarebbe stato opportuno ipotizzare dei percorsi autorizzativi accelerati, anche negli accordi con le singole case farmaceutiche”, spiega Stagnaro. “Ora quello che conta davvero è somministrare il vaccino, poi ci porremo il problema di chi ha sbagliato e perché.”

Agevolazioni ammazza-burocrazia e contributi pubblici. Strategie per il vaccino italiano

Farmindustria prova a fissare un termine per la riconversione delle linee produttive, mentre al Mise prendono corpo agevolazioni per velocizzare e semplificare il processo. Carlo Stagnaro (Ibl) a Formiche.net: sfida sacrosanta ma bisognava muoversi prima. Ed è anche colpa dell’Europa perditempo

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