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Sarebbe troppo chiedere un passo indietro? Nessun attacco al federalismo e all’autonomia amministrativa, almeno nelle forme un po’ confuse previste dalla Costituzione. Ma l’emergenza Covid-19 e il farraginoso piano vaccinale hanno ribadito lo strano modello regionale che si è instaurato nel Paese.

Che senso ha che un ottantenne lombardo sia considerato in testa alle liste per l’inoculazione del vaccino e un coetaneo ligure si veda passare davanti, magari con ragione, un più giovane cittadino ma afflitto da patologie pregresse ritenute più invalidanti dell’età? Più in generale, ogni giorno che passa, sembra che l’unità nazionale – e i conseguenti pari diritti, a prescindere dalla latitudine – sia dissolta a favore di una differenziata fruizione di uno dei diritti essenziali, quello alla salute.

Se il 27 dicembre per tutti era stato il ‘vaccino day’ con l’avvio in sincrono delle somministrazioni a medici e infermieri, già con quelle per gli over 80 i tempi si sono diluiti. E ora che dovrebbe partire – con tutta la lentezza che fa i conti con il lento reperimento della materia prima, i vaccini – la ‘terza fase’, quella per i soggetti ‘fragili’, dai disabili ai pazienti oncologici ai cardiopatici e diabetici, è saltata ogni programmazione. Le Regioni vanno per conto loro, decidendo chi somministra, dove e anche come far accedere i cittadini. Le fasce non vengono rispettate.  Si va avanti con alcune categorie professionali, talvolta non necessarie, mentre fragili e anziani aspettano.

Un caos figlio della regionalizzazione della sanità italiana? Forse. Anche se la materia “regionalizzata” riguarda la salute, nella sua ordinaria gestione amministrativa, non la gestione delle epidemie. E’ stato questo uno dei motivi per cui la Corte costituzionale ha recentemente accolto il ricorso del Governo contro una disposizione assunta dalla Regione Valle d’Aosta. Quell’impugnativa proposta dal Governo era una delle 105 presentate lo scorso anno davanti ai giudici costituzionali. Un numero non troppo diverso dai ricorsi del 2019 (117). Dunque, il termometro della Corte continua a misurare un’alta conflittualità centro-periferia. Semmai, sarebbe da segnalare il fatto che nel 2020 la contrapposizione si è ulteriormente sbilanciata dalla parte dello Stato: da Roma, infatti, sono partite 95 impugnative contro le 10 presentate delle Regioni.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione (nel 2001), approvata con referendum popolare, si è innescato uno dei processi più spinosi di conflittualità tra Istituzioni. Già nel 2002, appena un anno dopo l’approvazione del nuovo capitolo costituzionale, si contavano più di cento ricorsi nel contenzioso Stato-Regioni. A tutt’oggi se ne sono inanellati oltre 1800. Senza contare i conflitti amministrativi che hanno interessato il Consiglio di Stato.

L’autonomia è un valore, a condizione che non diventi un problema e una fonte di “diversità” nella fruizione dei diritti costituzionali. Sul fronte dei vaccini è curioso – per dirla con un eufemismo – constatare che lo stesso programma di somministrazione cambia da Regione a Regione, anche in relazione alle quantità utilizzate e non solo con riguardo alle categorie da proteggere.

Stante il fatto che la media nazionale dice che poco meno del 30% dei vaccini disponibili riposa ancora nei congelatori (solo il 72% è stato inoculato), è incomprensibile che questa percentuale oscilli tra il 90% (in Valle d’Aosta) e il 58% in Sardegna. I cittadini dell’Iglesiente hanno meno diritti di quelli di Courmayeur? Non credo. Ma è ancora più sorprendente che, seguendo l’articolazione di questa forbice percentuale, non si ritrovino le solite contrapposizioni Nord-Sud. Nell’uso dei vaccini sono in testa Valle d’Aosta, Provincia autonomia di Bolzano e Campania (con scostamenti marginali, tra l’80% e il 90% di vaccini utilizzati sul totale di quelli disponibili), mentre in coda si trovano (tra il 58% e il 68%) insieme Regioni abitualmente “diverse”: Lombardia e Veneto condividono il triste risultato con Calabria e Molise, la Liguria è poco meglio della Sardegna e dell’Umbria.

Per tutte queste ragioni, non sarebbe il caso che le Regioni facessero autonomamente un passo indietro? Non sulle materie concorrenti del turismo o della formazione, per carità! Ma almeno sulla gestione della vaccinazione contro Covid-19. Per le prenotazioni dei vaccini ogni Regione ha dato libero sfogo alla sua fantasia, creando piattaforme con indirizzi web disomogenei: si va da prenotovaccino.regione.liguria.it per la Liguria ovviamente, a prenotazioni.vaccinicovid.gov.it per le Marche; da adesionevaccinazioni.soresa.it per la Campania a vaccinazionicovid.servizirl.it per la Lombardia. Solo per fare qualche esempio.

Mentre auspichiamo un passo indietro assistiamo invece a qualche vigoroso passo avanti. Poteva essere un azzardo quello del governatore del Veneto, Zaia, quando annunciava di poter disporre di 17 milioni di vaccini derivanti dal mercato libero internazionale. Ma dopo la levata di scudi contro Zaia, ecco che anche la Regione Lazio si avventura in una specie di “diplomazia regionale del vaccino”.

L’intenzione della Regione sarebbe quella di richiedere un milione di dosi di Sputnik, il discusso vaccino made in Russia. I tempi potrebbero essere rapidissimi: entro 2 settimane Ema potrebbe già concludere l’analisi del vaccino, e a quel punto la tempistica per avere lo Sputnik sarebbe di una decina di giorni. L’assessore regionale del Lazio D’Amato ha fatto sapere di aver “chiesto ai ministri degli Affari regionali e della Salute Mariastella Gelmini e Roberto Speranza di valutare la possibilità di produrre anche in Italia il vaccino russo Sputnik V su cui si è avviata la rolling review di Ema e comunque di valutare la possibilità già di opzionare il vaccino per farsi trovare pronti dopo l’eventuale via libera di Ema e di Aifa”.

Il rischio è l’emulazione, che non è sempre virtuosa. Ci dovremmo aspettare la Regione Sicilia che si adopera per acquistare dosi aggiuntive di Astra Zeneca? O la Regione Puglia rivolgersi al Johson&Johnson? C’è da rimpiangere un po’ di standardizzazione e di omologazione? Magari sì, almeno per assicurare una effettiva uguaglianza di tutti i cittadini italiani di fronte alla necessità di farsi vaccinare.

Fermate le regioni, che ora vogliono pure farsi il vaccino (Sputnik!) da sole

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