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Il gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo ha approvato oggi a larghissima maggioranza le nuove regole che consentono al gruppo stesso di sospendere o espellere parlamentari. Una mossa chiaramente in chiave anti-Orban, che ha provocato l’immediata e preannunciata reazione del primo ministro ungherese. Con una lettera (scritta come sempre su carta intestata del suo Governo…), il primo ministro ungherese annuncia, infatti, l’uscita dei parlamentari di Fidesz dal gruppo del Ppe.

Alcuni commenti a caldo, riprendendo peraltro cose già scritte in tempi non sospetti.

Il PPE ha prontamente comunicato che sarà avviata la procedura di espulsione del partito, che dovrà essere votata alla prima assemblea politica che si potrà svolgere in presenza. Contrariamente ad alcuni superficiali commenti, Orban non parla ancora di uscita del suo partito dal Ppe, dal quale è attualmente sospeso. Tale uscita potrebbe essere imminente, ma, come sempre, in politica è saggio non chiudere mai del tutto le porte (regola che molti politici italiani dovrebbero attentamente studiare e ricordare).

In secondo luogo, ho letto autorevoli commenti che leggono la mossa del gruppo guidato da Manfred Weber anche in chiave anti-Salvini. Su questo mi permetto di dissentire.

Agli occhi dei popolari europei esiste una differenza fondamentale tra Orban e Salvini: il primo governa il proprio Paese con metodi illiberali, il secondo guida un partito che in Italia ha sempre governato, a livello centrale e regionale, nel pieno rispetto delle regole della democrazia. Quindi, almeno in linea di principio e ferme restando le distanze politiche, nulla preclude la possibilità di avvio di un dialogo tra il Ppe e la Lega.

D’altra parte, la perdita di 11 parlamentari (ammesso che non se ne aggiunga qualche altro di partiti non distanti dalle posizioni di Orban) non è indifferente per il Ppe, già sceso nell’ultima legislatura a 182 membri, e oggi a 171, dai 221 della precedente, e ne riduce ulteriormente il potere contrattuale all’interno della variegata maggioranza “Ursula”. Un eventuale futuro ingresso della Lega con i suoi 28 membri, per quanto al momento non ipotizzabile, rafforzerebbe non poco il posizionamento del Ppe.

In terzo luogo, la vera preoccupazione del Ppe è sempre stata che l’eventuale ingresso della Lega, in combinazione con la presenza di Fidesz e dei partiti vicini, avrebbe spostato pesantemente a destra l’asse del partito. Se Orban confermerà l’uscita dal Ppe, o se il Ppe trasformerà la sospensione in espulsione, questo elemento, peraltro determinante, sparirà dal tavolo.

Tutto ciò non significa che la strada per un ingresso di Salvini nel Ppe sia spianata. Sia perché dovrebbe essere lo stesso Salvini a volerlo, cosa che per ora non appare, sia perché le perplessità dei popolari sulle reali intenzioni del leader della Lega permangono, nonostante le sue recenti svolte in chiave moderata.

Ora la partita è in mano proprio a Matteo Salvini (e a Giancarlo Giorgetti). Il potere contrattuale della Lega in una eventuale trattativa sale molto, e il suo segretario sarà sicuramente molto abile ad alzare il prezzo al momento opportuno.

Resta un dato: la spaccatura sul voto al Recovery Fund nel gruppo Identità e Democrazia: Afd contro, Le Pen astenuta e Lega favorevole. Potrebbe essere una premessa all’uscita della Lega dal gruppo, ipotesi che non sarebbe sgradita a diversi europarlamentari leghisti che oggi non toccano palla, e che costituirebbe un segnale importante per il Ppe. Anche questo è un importante elemento negoziale per Salvini.

Un nuovo banco di prova, anche se non immediato, sarà il voto per la presidenza del Parlamento europeo in occasione dell’alternanza di metà mandato, che potrebbe vedere la candidatura del popolare bavarese Manfred Weber a sostituire David Sassoli: non credo che la Lega ripeterà l’errore fatale commesso non votando la Von der Leyen.

E a novembre, il congresso straordinario programmatico del Ppe in Olanda. Tempi interessanti, senza dubbio.

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