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Nel suo discorso di fronte al Parlamento, Mario Draghi non a caso ha sottolineato come il suo governo nasca nel solco dell’appartenenza all’Unione Europea e come protagonista dell’Alleanza Atlantica. E ha proseguito con un passaggio ancora più importante: “Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa…non c’è sovranità nella solitudine”.

È un chiaro messaggio per allontanare lo spettro del sovranismo che investe sia la politica interna che l’economia per arrivare anche, e forse soprattutto, alle relazioni internazionali.

In Europa il sovranismo ha trovato adepti nel Regno Unito che con la Brexit ha causato il primo vero passo indietro del processo di integrazione europea che aveva iniziato una storica accelerazione nei primi anni Novanta. Ma lo spettro ha anche attraversato la Manica contagiando la Francia, l’Ungheria, la Polonia e in parte l’Italia. Si è espanso anche oltreoceano con la dottrina “America First” di Donald Trump.

È un altro segno dei tempi, perché nei momenti più vitali della storia americana il free trade e l’attenzione nei confronti di altre regioni del mondo sono stati il motore della politica estera e qualcosa in più: un modo di inquadrare e valutare il rapporto degli States con il mondo.

Ma, forse questo il messaggio di Draghi, questo arroccamento isolazionista, nel senso più ampio e non solo politico-economico di chiusura rispetto al mondo, è insostenibile. Sembra un paradosso, ma è proprio l’interdipendenza l’unico modo che hanno gli Stati  di sopravvivere e di esercitare le loro funzioni sovrane.

La nozione di sovranità sta evolvendo. E ciò essenzialmente per motivi legati da una caratteristica comune: gli Stati si rendono conto, si devono rendere conto loro malgrado, che la nuova sovranità, il lavorare insieme, l’intervenire in situazioni di crisi in modo coordinato, è l’unica via che permette di governare e di raggiungere obiettivi che un tempo potevano essere raggiunti da soli.

La nuova sovranità è uno status che misura “la connessione con il resto del mondo e l’abilità politica di muoversi come un attore in questo contesto globale”. La crescente interdipendenza politica non consente più di governare in modo efficace, tenendo nettamente separate dimensione interna ed esterna. L’abilità dello Stato di controllare le proprie frontiere e il territorio senza interferenze esterne non basta a garantire ai propri cittadini in modo efficace standard minimi di sicurezza, stabilità economica e salute come la pandemia Covid 19 ci ha tristemente insegnato.

In secondo luogo, fenomeni diversi come la proliferazione di armi di distruzione di massa, il terrorismo, la criminalità organizzata, la pirateria, i failed o quasi failed States (si pensi alla Libia o alla Somalia ad esempio) mettono in pericolo la sicurezza dell’ordine internazionale o dei singoli Stati. Il principio di non interferenza negli affari interni di uno Stato non deve più essere considerato uno scudo che impedisce alla Comunità internazionale di agire, anche contro la volontà dei governi che non vogliono o non possono arginare questi fenomeni.

Insomma se gli Stati nazionali, come ha osservato Draghi, rimangono il punto di riferimento per i cittadini, la sovranità, nell’accezione più nobile del termine, può uscire rafforzata solo nel momento in cui assorbe e si fa carico di un più vasto sistema di valori e, soprattutto, di responsabilità nei confronti dell’umanità.

Sovrani, insieme. Bellodi legge la dottrina Draghi

La sovranità, nell’accezione del premier Mario Draghi, può uscire rafforzata solo nel momento in cui assorbe e si fa carico di una responsabilità nei confronti dell’umanità. Il corsivo di Leonardo Bellodi, autore de “La nuova sovranità” (Giappichelli)

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