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Tra il dire e il fare, si dice, c’è di mezzo il mare. E chissà se, come scritto da Franco Bassanini su Twitter, per il Recovery Plan appena sbarcato in Parlamento e pronto alla partenza per Bruxelles, sarà così. Se dalle parole, seppur ben stampate sulle 319 pagine del documento, si passerà ai fatti, quelli che servono all’Italia. Per Nicola Rossi, economista, docente con un passato da senatore dem e membro del board dell’Istituto Bruno Leoni, il gioco può riuscire. Lo dicono una serie di fattori.

Rossi, il Pnrr è ufficialmente pronto per essere inviato in Europa. A differenza del precedente Piano, sembra esserci una più robusta componente di riforme. Qualcuno ha però fatto notare che il difficile non è tanto scriverlo, quanto attuarlo in tempi certi. Condivide?

Non direi. Anche scrivere di riforme non deve essere poi così semplice se è vero – come è certamente vero – che nella versione appena approvata dal Consiglio dei ministri del Piano nazionale di ripresa e resilienza lo spazio dedicato alle riforme è molto più ampio di quanto non fosse nella versione preparata dal precedente governo. Il che è già un significativo passo in avanti.

Un piano migliore del precedente, insomma. Però ora va attuato…

Per quanto riguarda i tempi è importante non dimenticare che, una volta approvato, il Pnrr si trasformerà in un insieme di impegni vincolanti, disattendendo i quali potremmo veder evaporare le risorse sui cui lo stesso Piano si basa. Un insieme di impegni che sarà piuttosto complicato modificare.

Il Recovery Plan porta in dote la riforma fiscale, da imperniare sull’Irpef. Si parla di legge delega entro luglio. Crede che sia una tempistica verosimile? E vede lo spazio di manovra finanziario per affrontare una simile riforma?

Le commissioni Finanze di Camera e Senato hanno svolto congiuntamente una importante attività istruttoria, talché l’ipotesi di una legge delega entro luglio mi sembrerebbe praticabile. Soprattutto se – come esplicitamente sembrerebbe indicare il Pnrr – l’intervento riformatore si limitasse ad una riforma della sola Irpef. Sarebbe, a mio modo di vedere, un errore non piccolo che riprodurrebbe errori già visti in passato.

Allora forse più che una riforma su larga scala sul fisco ci sarà un intervento mirato e circoscritto.

Comprendo le difficoltà legate anche alla natura eterogenea della attuale maggioranza di governo e comprendo la necessità di non entrare su questo argomento in dettagli eccessivi. Voglio quindi sperare che il reale intendimento del Pnrr lo si trovi lì dove il Pnrr scrive che, in materia di riforma fiscale, “va operato un intervento complessivo”.

Il governo ha stimato, per fine 2026, quando si esauriranno gli investimenti del Piano, un contributo al Pil pre-esistente del 3,6%. Le pare ragionevole? O è solo eccesso di ottimismo?

Penso che l’indicazione circa l’effetto di impatto del programma di spesa pubblica sia francamente poco interessante. Quel che veramente rileva è la previsione esplicita nel Pnrr di un incremento del tasso di crescita del prodotto potenziale pari a 0,8 punti percentuali di cui 0,5 punti per effetto dei programmi di spesa e 0,3 punti per effetto delle riforme. Ciò implicherebbe portare il nostro tasso di crescita potenziale all’1,4 per cento e ci porterebbe a colmare o quasi il divario che da trent’anni ci separa dagli altri Paesi europei.

Perché questo dato è così importante?

Perché è in questa grandezza che ha origine l’impoverimento relativo del Paese. E sono gli andamenti del prodotto potenziale che alimentano i dubbi sulla sostenibilità del nostro debito: è sull’andamento del tasso di crescita potenziale che si misurerà il successo o l’insuccesso dell’intera operazione.

Addio a Quota 100 e spazio a Quota 102. Per qualcuno è un esperimento, l’ennesimo, per altri no. Lei che dice?

Nel Pnrr si parla testualmente di “attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica e creare margini per altra spesa sociale e spesa pubblica” e si conferma la conclusione di Quota 100 e la sua sostituzione con interventi mirati alle categorie con mansioni logoranti. Punto.

E allora?

Quota 102, per il momento, è solo una ipotesi che, mi auguro, possa essere accantonata. Abbiamo vissuto l’esperienza delle pensioni d’annata e abbiamo toccato con mano quali profonde iniquità abbiano prodotto. Sarebbe il caso di non insistere.

Quota 102, il Pil e l'Irpef. Il Pnrr visto da Nicola Rossi

Intervista all’economista di Tor Vergata e membro del board dell’Istituto Bruno Leoni: l’attuazione del Piano sarà garantita dai vincoli piuttosto stringenti imposti da Bruxelles. La riforma fiscale dovrebbe essere ampia e profonda, ma temo che non sarà così. Quota 102? Basta con le pensioni d’annata, sono errori da non ripetere

Si riparte, ma non tutti allo stesso modo. Scandizzo e l'economia post-Covid

Le azioni di Biden indicano una svolta risoluta nella politica economica nella direzione degli investimenti pubblici che va ben al di là, per scala e scopo, del mix di politiche di breve e lungo termine che ancora caratterizzano l’Europa, ma anche altri paesi quali il Regno Unito e l’Australia. L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo, economista del Gruppo dei 20 (Tor Vergata)

The Geopolitical Imperative of Nord Stream 2

Di Nicola De Blasio

The pipeline is one of the last ties of an economically declining Russia to Western Europe and Moscow is much more dependent on these revenues than Europe is on Russian natural gas. Therefore, it must become part of a broader transatlantic strategy which combines shorter-term policy goals to deal with Moscow’s aggressive behavior and a longer-term effort to keep a door open for a more cooperative relationship, writes Nicola De Blasio, Senior Fellow at the Belfer Center (Harvard)

L’imperativo geopolitico del Nord Stream 2. Scrive De Blasio (Harvard)

Di Nicola De Blasio

Il Nord Stream 2 è uno degli ultimi legami tra la Russia in declino economico e l’Europa occidentale, e Mosca è molto più dipendente da queste entrate di quanto non lo sia l’Europa dal gas naturale russo. Dunque il gasdotto deve diventare parte di una strategia transatlantica più ampia. Il commento di Nicola De Blasio, senior fellow del Belfer Center (Harvard)

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