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Habemus Fondo europeo di Difesa. Oggi, il Parlamento europeo ha approvato il regolamento che istituisce l’Edf, chiudendo così il lungo iter di istituzione per uno strumento a lungo atteso dal comparto industriale. È dotato di 7,9 miliardi di euro da qui al 2027. Ad accogliere positivamente la notizia, direttamente dall’aula di Strasburgo, è stato per primo il commissario al Mercato interno, il francese Thierry Breton, nelle cui competenze rientra la direzione Difesa, Industria e Spazio, nonché il fondo Edf.

LA DOTAZIONE DEL FONDO

L’iter si conclude dopo quasi tre anni dalla presentazione della proposta da parte della Commissione europea. A giugno del 2018, l’organo esecutivo dell’Ue presentò una bozza di regolamento per un fondo da 13 miliardi di euro, da inserire nel quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Dal 2020 tuttavia, come per il resto del quadro pluriennale, anche sull’Edf si è abbattuta l’onda del Covid-19. Nonostante non sia mai stato al centro del dibattito, il fondo ha subito durante i vari negoziati sforbiciate qua e là, attestandosi negli ultimi mesi tra i 7 e gli 8 miliardi. La quota di 7,9 miliardi è frutto dell’accordo di dicembre 2020 tra Parlamento e Consiglio dell’Ue. Rispetto alla attese iniziali, appare “sotto-finanziato”, notava il ministro Lorenzo Guerini solo pochi giorni fa. Eppure, aggiungeva, “occorre fare di tutto per sfruttare al meglio i nuovi strumenti dell’Unione”.

LA LUNGA STRADA DELL’EDF

Il bicchiere appare dunque mezzo pieno. L’Ue potrà co-finanziarie programmi di ricerca e sviluppo in campo militare. L’obiettivo è essere da stimolo sia per gli impegni dei singoli Stati, sia per progetti di cooperazione (almeno tre entità da altrettanti Stati per poter accedere ai finanziamenti), così da integrare un settore che pare disperso e denso di sovrapposizioni. Poggerà sull’esperienza maturata negli ultimi due anni dai due progetti-pilota: l’Edidp (il programma di sviluppo dell’industria europea della difesa) per 500 milioni 2019-2020; e la Padr, l’azione preparatoria nel campo della ricerca, per 90 milioni. Con l’Edf lo strumento sarà uno solo, seppur diviso in due finestre, una per la ricerca e una per i programmi di sviluppo. L’8% sarà destinato alla tecnologie dirompenti.

I COMMENTI

“È un passo importante per un’Europa più forte”, ha detto la vice presidente della Commissione europea, con delega al digitale, Margrethe Vestager. “Il Fondo svolgerà un ruolo-chiave per consentire alle Pmi di partecipare alle catene di approvvigionamento della difesa e ampliare la cooperazione industriale transfrontaliera”, ha aggiunto. Il collega Breton ha parlato di “giornata storica per l’Europa”, poiché “l’idea di lavorare insieme per promuovere la nostra Unione della difesa e per la sicurezza dei cittadini dell’Ue è ormai realtà tangibile”.

SE LA FORMULA È IL CO-FINANZIAMENTO

Tra i Paesi che più hanno sostenuto l’iniziativa c’è l’Italia, non a caso già ben piazzata su Edidp e Padr. Insieme agli altri big, il nostro Paese ha chiesto a più riprese il mantenimento di un elevato livello d’ambizione sulle Difesa comune. È per questo che il ministro Lorenzo Guerini esprimeva già a dicembre “grande soddisfazione” per l’accordo raggiunto. Il titolare di palazzo Baracchini notava anche che si tratta di “uno strumento innovativo di co-finanziamento, volto a promuovere forme di collaborazione tra le nazioni e le rispettive industrie, che richiede comunque un impegno finanziario da parte degli Stati membri, nonché la capacità dell’industria di presentare progetti competitivi, innovativi e quindi in grado di ottenere i finanziamenti parziali che il fondo assicura”. Tra le righe, la sottolineatura è importante: l’Edf non sostituirà gli investimenti in ambito nazionale. Anzi, per poter accedere ai fondi comuni, lo Stato dovrà partecipare all’impegno finanziario. Ciò lascia il campo a un’altra dinamica: l’intesa raggiunta dai Paesi principali per dotare la Difesa europea di risorse elevate è destinata a lasciare il posto alla competizione per aggiudicarsi le fette maggiori del fondo.

I TEMI CARI ALL’ITALIA

Tra i nodi storici del fondo c’è la possibilità per i Paesi terzi di poter partecipare ai programmi finanziati dall’Edf, “convintamente sostenuta dal nostro Paese”, notava Guerini. Insieme alle quote maggiori coperte dall’Ue per la partecipazione delle Pmi e alla condizione di almeno tre entità per far partire i progetti (così da evitare fastidiose iniziative bilaterali, già note nel settore), il tema dei soggetti extra-Ue è stato tra i più attenzionati dall’Italia. Alla fine è stata ammessa la loro partecipazione, seppur con tanti vincoli. Si prevede poi l’aumento della quota di finanziamenti europei per i progetti che coinvolgano le Pmi, e per quelli legati alla Pesco (bonus di ulteriore 10%), la cooperazione strutturata permanente, su cui già a novembre il Consiglio dell’Ue ammetteva (con apposito regolamento) la partecipazione “eccezionale” di Paesi terzi. Non è casuale che sia già arrivata da Washington la richiesta di partecipare al programma Pesco per la mobilità militare.

VERSO LO STRATEGIC COMPASS

Per quanto riguarda le capacità da sviluppare tramite i co-finanziamenti dell’Edf, a dare il quadro d’insieme c’è la Card, il terzo pilastro del progetto della Difesa comune, cioè la revisione coordinata annuale che, uscita a novembre nella sua prima edizione, ha già identificato le aree su cui la cooperazione potrà funzionare meglio. A sistematizzare il tutto e a inserirlo nella postura esterna dell’Unione europea ci sarà poi lo Strategic Compass, su cui si sta concentrando la grande attenzione degli ultimi mesi. Il documento dovrebbe essere completato nel 2022 e offrire una visione davvero comune sull’azione dell’Ue al di fuori dei propri confini.

regolamentazione

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