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Il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin è intervenuto mercoledì di fronte all’Assemblea Federale con un ordine del giorno che comprendeva i rapporti con l’Occidente e le sue intrusioni nello “spazio vitale” della Federazione Russa, la questione dell’equilibrio finanziario regionale, la politica famgliare.

Importante notare che, accanto allo svisceramento di alcune importanti, e incandescenti, questioni di politica estera che stanno attualmente tenendo il mondo con il fiato sospeso, Vladimir Putin abbia trovato il tempo e lo spazio da dedicare a questioni, seppure importanti per la Russia, di politica e amministrazione interna. Conferendo così un’impressione di relativa normalità a un discorso che, come era prevedibile aspettarsi, è risuonato come un duro monito all’ingerenza occidentale nello spazio post-sovietico.

Quello spazio è oggi fortemente conteso tra una Russia che rivendica con decisione il  suo diritto alla  sicurezza e ad una sua propria area di influenza, una sorta di Yalta post-litteram, e Ue e Nato che insistono sul diritto di libera scelta degli Stati sulla propria sistemica appartenenza geopolitica. Un autentico ossimoro di principi giuridici e politici dalle conseguenze potenzialmente molto serie e destabilizzanti.

Quali quindi i punti trattati da Putin sulle relazioni tra Russia e Occidente?

Il presidente russo, quasi in una sorta di “captatio benevolentiae” dell’uditorio russo e mondiale, ha ribadito la volontà della Federazione russa di agire in base al diritto internazionale riconosciuto dalla comunità internazionale e quindi dalla stessa Federazione Russa. Ha in seguito parlato della buona volontà russa di attenersi alle regole prescritte dal diritto internazionale, ma ha avvertito che la “buona volontà” e la pazienza non devono essere scambiate per debolezza.

Passando poi dall’astratto al concreto ha poi esplicitamente menzionato la questione bielorussa, accusando l’Occidente, o meglio, il cosiddetto “Occidente collettivo”, di avere meditato e tentato di portare a termine un colpo di stato contro il presidente bielorusso Lukashenko che, ha poi aggiunto, può essere contestato o meno per la sua politica. Ma, ha ripreso, un colpo di Stato non è una metodologia “accettabile”, tanto più se comporta cyberattacchi e un’interruzione della corrente elettrica nella capitale Minsk.

Di qui l’accusa all’Occidente di non avere accettato le proposte russe per una risoluzione pacifica della crisi bielorussa. E un passaggio sul colpo di Stato del 2014 in Ucraina che avrebbe, a suo parere, portato all’estromissione dal potere di Viktor Yanukovich da parte di mandanti occidentali.

Importanti gli accenni alla Bielorussia, Paese piccolo e relativamente coeso al suo interno, ma al tempo stesso strategico e molto importante per le relazioni tra Nato e Russia e tra Unione Europea e Russia. Finora ha fatto da cuscinetto nell’attenuare le tensioni, ma i sommovimenti politici interni, e quindi potenzialmente anche esterni, stanno rapidamente evolvendo e sollevando preoccupazioni nella regione.

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