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I timori di Bruxelles non sono solo sulla governance del Recovery Plan, quanto nel fatto che le forze antisistema, Lega e Fdi possano prendere il Governo e ancor più il Quirinale.

Lo dice a Formiche l’on. Stefano Ceccanti, deputato e costituzionalista del Pd, secondo cui Bruxelles può fare fino a un certo punto: “Il più lo ha già fatto, alla fine la responsabilità è nostra, con gli assetti di Governo possibili.”

La stampa straniera ieri ha puntato l’indice sui ritardi italiani per il Recovery: anche loro disseminano mine sulla strada del governo?

La stampa straniera è ben consapevole che la crisi rallenta il Piano e lo rende più incerto, e non a caso ha anche reagito negativamente a una crisi di Governo esplosa senza che chi l’ha provocata abbia indicato contestualmente una soluzione in positivo. Tuttavia – e questo la stampa straniera per fortuna lo sa – la presenza del Capo dello Stato e la durata settennale del Quirinale è vista all’estero come l’elemento e presidio di stabilità del sistema, anche se il fatto che stia per iniziare il semestre bianco è visto, non senza ragione, dagli osservatori più accorti come un elemento serio di preoccupazione.

Un voto in più o in meno cosa cambia nella consapevolezza della maggioranza? Come costruire quel patto di legislatura invocato dal premier?

Non ho condiviso questa angoscia sui numeri anche perché quelli prescritti, la maggioranza relativa, c’erano comunque. Il punto è qualitativo, politico. Un conto è avere una maggioranza fatta da gruppi parlamentari che già esistono, con problemi gravi ma noti, e un altro conto è sostituire il gruppo che a torto si è sfilato con un altro (o altri) che debbono essere sollecitati a nascere. Questa seconda scelta può rivelarsi necessaria, può essere l’unica soluzione, ma è anche una soluzione che obiettivamente apre altri problemi non di stabilità, credo, ma di efficienza.

E’ un processo aperto, nel bene e nel male. E’ vero che i governi direttamente legittimati dagli elettori hanno avuto anch’essi problemi di stabilità ed efficienza (anche perché a livello nazionale è cambiata la legislazione elettorale mentre le norme costituzionali sulla forma di governo sono rimaste invariate, a differenza di regioni e comuni), però non è detto che rinunciarvi, con Governi formati in Parlamenti costituiti da partiti e gruppi fluidi, ci porti molto lontano. Detto questo nel frattempo bisogna operare col Parlamento che c’è, coi rapporti di forza dati e lavorare a partire da quelli. Il patto di legislatura ha bisogno per realizzarsi di una chiarezza sui gruppi che lo stipulano. Lo capiremo meglio nei prossimi giorni una volta superata, spero al meglio possibile, la prova di oggi.

Al di là del momento scelto da Renzi, critiche di merito al Recovery Plan giungono anche da Bruxelles (via Gentiloni): dunque?

Non penso che la bozza arrivata in Parlamento sia intoccabile. E’ stata presentata come un testo aperto e sarebbe sbagliato andare al confronto non solo con la Ue, ma anche con le forze sociali e con l’opposizione con dei pregiudizi negativi. In ogni caso la preoccupazione principale nella Ue è che le forze antisistema, Lega e Fdi, ideologicamente contrarie alla Ue, lo hanno dimostrato anche la settimana scorsa rifiutando al Parlamento europeo di votare a favore del Regolamento del Piano, possano prendere il Governo e ancor più il Quirinale. Le critiche sono quindi fatte perché l’Italia utilizzi bene i fondi e che da lì l’apertura reciproca tra Italia e Ue continui, essendo ben percepita in tutta la sua positività dalla nostra opinione pubblica. Però la Ue può fare fino a un certo punto, il più lo ha già fatto, alla fine la responsabilità è nostra, con gli assetti di Governo possibili.

La Recovery Authority proposta da Romano Prodi potrebbe essere la svolta, anche per la fase due del governo?

Le proposte delle personalità che hanno esperienza di governo in Italia e nella Ue debbono essere prese particolarmente sul serio. C’è tempo fino ad aprile per arrivare a esiti positivi e condivisi.

Emanuele Macaluso, scomparso oggi, in una recente intervista a Formiche disse: “Oggi abbiamo una destra populista, con scarsa responsabilità nazionale, ed una sinistra molto debole. Nel mezzo un’Italia senza una guida forte”. Ha ragione?

Sì, molte soluzioni sono bloccate, comprese larghe coalizioni ed elezioni anticipate, perché una parte del Parlamento, Lega e Fdi, come ho già accennato, ha posizioni che mettono in discussione uno dei pilastri del nostro ordinamento costituzionale, la connessione con l’Unione europea. Basta ricordarsi il rifiuto di nomina del Presidente Mattarella a Paolo Savona al momento della nascita del Conte 1. Con questa autoesclusione i margini di azione sono difficili.

L’interesse nazionale citato in Aula dal premier come potrà essere applicato ad esempio a quelle riforme che servono come l’aria all’Italia?

Il problema è che, appunto, rispetto alle altre democrazie parlamentari, i nostri margini sono minori. Tra le forze di opposizione si può contare su un’apertura reale solo di Forza Italia, mentre in Germania l’europeismo abbraccia oltre alle due forze di Governo anche verdi e liberali e in Spagna solo Vox (a cui è legata da noi Fdi) è su posizioni antisistema. Complicata anche la collaborazione con le Regioni, anche se la recente sentenza della Corte costituzionale contro una legge della Val D’Aosta ha riconosciuto una supremazia statale nella pandemia.

Quale il bilancio dell’esperienza giallorossa fino ad oggi?

E’ un esperimento ancora acerbo, ma non abbiamo alternative a provare di farla maturare. D’altronde non vanno sottovalutati alcuni risultati raggiunti, specie sulla direttrice Roma-Bruxelles. Penso a come sarebbero andate le cose se ci fosse stato un leghista invece di Gentiloni nella commissione europea in questo passaggio decisivo, sia per l’Italia sia per la Ue.

twitter@FDepalo

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