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Draghi c’è. Soprattutto nella battaglia contro il Covid. E si evince non solo nella proposta avanzata dal presidente del Consiglio alla Commissione europea di produrre i vaccini già disponibili in Italia, ma anche nel discorso tenuto al Senato, in cui sanità e salute sono state prime protagoniste, con la necessità di andare a colmare le lacune del sistema sanitario, ispirandosi ai modelli virtuosi nazionali e internazionali.

IMPARARE DAI PROPRI ERRORI

“Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti”, ha ammonito il presidente del Consiglio. “Abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private. Facendo tesoro dell’esperienza fatta con i tamponi che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di ospedali autorizzati”, continua Mario Draghi. Perché, tra gli obiettivi del nuovo governo – sembrerebbe – c’è proprio quello di imparare dagli errori commessi in passato e fare in modo che non si ripetano.

OBIETTIVO SANITÀ TERRITORIALE

“Sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità”, ha infatti continuato l’ex presidente della Banca centrale europea, che ha posto sin da subito la sanità fra i primi settori su cui intervenire per la ripartenza del Paese. Per farlo, ha aggiunto, bisogna “rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base”. Il riferimento, è evidente, è al dibattito che ormai si protrae da mesi sul ruolo che la sanità territoriale può giocare non solo nella gestione delle emergenze, ma anche nelle attività sanitarie ordinarie. “È questa la strada – ha aggiunto – per rendere realmente esigibili i Livelli essenziali di assistenza”, affidando “agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative” e facendo della casa il “principale luogo di cura”, come ormai è possibile grazie a “telemedicina e assistenza domiciliare integrata”.

MEDICINA DI PROSSIMITÀ

È opinione condivisa dagli esperti, del resto, che una medicina territoriale più radicata e meglio sviluppata avrebbe potuto se non incrementare l’efficienza delle terapie contro il Covid, quantomeno frenare l’ondata dei contagi. Nell’obiettivo dunque di una sanità più preparata ad affrontare eventuali nuove emergenze, come del resto anche l’agenda comunitaria prevede, la medicina territoriale non può e non deve essere messa da parte. A dimostrarlo è sicuramente la Regione Veneto, che con una sanità territoriale molto sviluppata è sicuramente riuscita a far fronte all’avanzata della pandemia più e meglio di altri, evitando l’assalto agli ospedali e riuscendo a gestire l’emergenza in primis attraverso la cosiddetta medicina di prossimità. Un esempio virtuoso a cui il presidente del Consiglio non potrà non guardare.

VENETO, CASO VIRTUOSO

Il Veneto, con la Legge Regionale n.19/2016, ha creato un nuovo ente strumentale regionale denominato “Azienda Zero” in cui si accentrano la programmazione, il controllo e la gestione delle funzioni regionali oltre ad aver accorpato le ventuno Ulss esistenti sul territorio in nove unità. La decisione di istituire l’Azienda zero è stata presa con l’obiettivo di “centralizzare” in capo ad un solo ente le funzioni di programmazione, di attuazione sanitaria e sociosanitaria, nonché di coordinamento e governance del Sistema sanitario regionale (Ssr) per ottenere risparmio e velocità, lasciando le aziende Ulss libere di occuparsi al meglio dell’organizzazione della erogazione delle prestazioni e dei servizi ai cittadini.

Nella Legge era stato previsto anche l’aumento del 15% dell’attuale numero dei posti letto negli ospedali di comunità e l’aumento del 60% dei medici di medicina generale. E risultati sono sotto gli occhi di tutti: il Veneto è ai primi posti della griglia Lea che classifica le Regioni per capacità di garantire i livelli essenziali di assistenza. Anzi nel 2018 è stata la migliore di tutte, conquistando 222 punti sulla Griglia Lea e fermandosi solo a 3 punti dal punteggio massimo stabilito in 225 punti.

I COSTI DELLA RIFORMA

Volendo però fare i conti in tasca al nuovo governo, bisogna tener conto dei costi che può implicare una riforma così importante. Ma guardando non solo agli esempi virtuosi nazionali, ma anche a quelli dei vicini europei, come ad esempio Germania, Olanda o Svezia, dove la medicina territoriale è ampiamente sviluppata, risulta evidente come un eventuale rafforzamento della medicina di prossimità non solo non incida in maniera pesante sulla spesa pubblica ma anzi garantisca ampi risparmi nel medio e lungo termine, efficientando la spesa complessiva. Tra le soluzioni auspicabili, senza dubbio un rafforzamento della rete dei cosiddetti medici di base, ad oggi non pienamente sfruttati dal nostro sistema sanitario.

IL VALORE DELLA TELEMEDICINA

E se il primo alleato non può che essere la figura del medico di famiglia, la telemedicina, a cui Draghi ha fatto esplicitamente riferimento, non può essere da meno. Nata nei primi anni Sessanta negli Usa per monitorare i parametri vitali degli astronauti nello spazio, la telemedicina garantisce il sistematico e più agile svolgimento delle attività sanitarie anche in condizioni di emergenza. Secondo uno studio della School of management del Politecnico di Milano, il 75% dei medici ritiene che la telemedicina abbia avuto un ruolo determinante nella gestione della pandemia e oltre il 50% delle persone non addette ai lavori ritiene che questa possa aumentare l’efficienza dei processi e delle cure.

Unico grande limite, un gap normativo che ne impedisce un uso coordinato e strutturale sul territorio nazionale. Lo scorso 10 settembre, però, la Conferenza delle regioni ha approvato un primo documento sull’erogazione delle prestazioni di specialistica ambulatoriale a distanza con l’obiettivo di semplificare l’accesso alle cure, ancor più in un momento di crisi sanitaria. Un primo passo a cui si auspica seguiranno quelli del nuovo governo.

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