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Sarà perché è primavera, ma c’è nell’aria l’impressione che anche la politica estera nazionale stia dando segni di risveglio. Non che sinora sia stata inattiva, questo non si può certo dire. Se però qualcuno pensa che sia stata un po’ disordinata, legata allo scorrere di tanti ruscelli più che all’alveo di un fiume, ecco che questo qualcuno potrebbe essere non lontano dal vero. A cosa è dovuto, allora, questo gradevole tentativo di riallineamento?

Il fatto è che la nostra posizione internazionale è come un treno che corre oscillando, ma senza per fortuna deragliare, su due binari paralleli, ma male incardinati su traversine di legno spesso vecchie e anche un po’ logore. I due binari sono la Nato e l’Unione europea, le traversine quella trentina di Stati su cui poggiano in modo precario. Nessuno di questi elementi indica in modo fermo la direzione di marcia. Questo, al di là delle belle parole, che sono sempre le stesse, lo fanno altri. Per la Nato lo fa il principale azionista, ovvero il presidente degli Stati Uniti d’America. Per l’Unione europea lo fa un triangolo a geometria variabile, che sinora era formato da Germania, Francia e Gran Bretagna. Gli altri spesso fanno i disturbatori, ma alla fine seguono. Venuto a mancare uno dei tre vertici, è necessario sostituirlo, anche se è chiaro a tutti che i due rimanenti ne farebbero volentieri a meno.

Tra i soci fondatori, l’Italia ha tutti i titoli per farlo, e ci sta provando sin da quando è iniziato il gioco della Brexit. Ora è venuto il momento in cui gli altri due non possono esimersi dal chiamarci (malvolentieri) al tavolo. Hanno appena iniziato a farlo, e, inutile negarlo, siamo sotto esame. È importante concentrarsi e non fare errori: sia la Nato, sia la Ue hanno il loro cavallo di battaglia, e noi dobbiamo riuscire a cavalcarli entrambi.

L’Alleanza Atlantica esprime la sua politica di lungo termine attraverso il così detto Concetto strategico. Gli Stati membri lo elaborano tutti assieme, ma il principale ispiratore è sempre il presidente degli Stati Uniti. Chi lo nega, o è in malafede, o vive nel mondo dei sogni. In 71 anni il Concetto conta appena sei edizioni. I primi tre (Guerra fredda) sono tuttora segretati, mentre gli ultimi tre (1991, 1999 e 2010), post-murali, sono stati resi pubblici. Mediamente hanno dieci anni di vita, quindi il prossimo, il settimo, potrebbe essere approvato entro la fine dell’anno. Cosa cambierà? Troveranno spazio le istanze dell’Italia, che gradirebbe uno sguardo più attento verso Sud?

Soffermiamoci un attimo sul Concetto in vigore, sottoscritto a Lisbona nel 2010. È il più lungo sinora concepito, otto capitoli e 38 paragrafi. Dentro c’è tutto, difesa e deterrenza, gestione delle crisi, sicurezza internazionale e multilateralismo, disarmo e non proliferazione, partnership e nuove adesioni. Nella premessa, si dice che la Nato rimarrà nucleare. Nella conclusione, si recitano i “principi universali” della carta dell’Onu. In tutte queste pagine, mai nessuna menzione al così detto Fronte sud, che a noi sta così a cuore.

Nessun accenno nemmeno nell’ indirizzo di saluto del segretario generale Jen Stoltenberg dopo l’elezione di Joe Biden, e nessun riferimento al sud neppure nella risposta. Viceversa, frequenti sono i riferimenti al “contenimento” di Russia e Cina. Appare evidente come, in una Nato ormai dominata dal terrore dei Paesi nordici per la Russia di Vladimir Putin, nessuno sembra essere animato dal sacro fuoco di rivoluzionare il Concetto sottoscritto a Lisbona. Tanto più, perché il Concetto 2010 era stato pensato, scritto e firmato sotto l’ispirazione e alla presenza dell’allora presidente Barack Obama, oggi (assieme a Hillary Clinton) principale sponsor e riferimento di Joe Biden. Non conosciamo con esattezza tutte le istruzioni che ha avuto il segretario di Stato Tony Blinken prima di partire per l’Europa. Ma una cosa è certa: se il Sud è l’istanza italiana, sarà dura. Con un rischio anche peggiore: potremmo essere accontentati, e poi lasciati con il cerino in mano da gongolanti amici e cugini.

Per quanto riguarda l’Unione europea, il cavallo di battaglia in questo momento sembra essere il concetto di “autonomia strategica”. Siccome ciascuno la vede a modo suo, a cominciare dalle indelicate (avevo scritto ‘maleducate’, ma ho subito corretto) manifestazioni di scetticismo verso la Nato a suo tempo manifestate dal presidente Emmanuel Macron, si è originata in alcuni Paesi una certa confusione di idee. Ora è necessario –anzi, è urgente – cominciare a mettere ordine. È un concetto “divisivo”, o un rafforzamento interno dell’Unione che rinsalderà i legami con la Nato?

Ci chiarisce le idee, in un articolo su AffarInternazionali del 27 febbraio, la mente limpida di Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto affari internazionali (Iai). Ecco il primo chiarimento, il più importante: “Spesso confusa con la sovranità, l’indipendenza, l’unilateralismo e, a volte, persino con l’autarchia, in verità essa – come suggerisce l’etimologia greca della parola – si riferisce alla capacità di vivere secondo le proprie leggi. (…) L’Unione europea, pur essendo pronta a farlo, non deve però agire da sola”. Un altro passo significativo recita: “Tutto ciò suggerisce che l’Ue non possa pensare semplicemente a fare affidamento sugli Stati Uniti come faceva un tempo. (…) Mentre l’asimmetria rimarrà una caratteristica strutturale delle relazioni transatlantiche, soprattutto nel campo della difesa, un legame transatlantico rinnovato richiederà da parte europea una maggiore responsabilità, e dunque autonomia, in primo luogo nelle regioni del vicinato Ue”. Brillante, chiara, esaustiva. Spero che siano in molti a leggere l’articolo, anche tra coloro che in questi giorni discutono l’argomento sui tavoli più importanti.

In conclusione, a mio avviso si può affermare che, tra Nato ed Unione, in questo momento l’Italia abbia una visione piuttosto chiara e disponga di tutti gli argomenti per difenderla. È un’occasione che non va sprecata. Se c’è la volontà, con un pizzico di coraggio ci si può riuscire.

Tra Nato e Ue, è il momento dell'Italia. Scrive il gen. Arpino

Sarà perché è primavera, ma c’è nell’aria l’impressione che anche la politica estera nazionale stia dando segni di risveglio. Tra Nato e Unione europea, tra rapporti con Washington e “autonomia strategica”, l’Italia sembra avere una visione piuttosto chiara e tutti gli argomenti per difenderla. L’analisi di Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa

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