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In netta rottura con lo stile del suo predecessore, il neopresidente del Consiglio Mario Draghi ha accompagnato il suo ingresso a Palazzo Chigi con un radicale cambio nello stile di comunicazione: “Comunicare solo quando c’è qualcosa da dire e far parlare i fatti”. Questa è l’indicazione che avrebbe dato durante il primo Consiglio dei ministri fornendo una chiara indicazione a tutto l’esecutivo di riserbo e silenzio, anche (e soprattutto) nella comunicazione social. Un cambio di paradigma che – forse proprio per la distonia rispetto alla narrazione dei precedenti esecutivi – è stata accolta con vibrante apprezzamento e sollievo, ma non ha mancato, tuttavia, di suscitare alcune perplessità, soprattutto rispetto a consolidati e largamente accettati meccanismi di costruzione del consenso.

Quali saranno gli effetti e le implicazioni nel dibattito pubblico di questo nuovo stile comunicativo del governo? FB Bubbles, divisione di FB&Associati specializzata in analisi del dibattito pubblico e strategie di advocacy, ha fatto una ricognizione dei primi segnali di questo nuovo approccio, mettendo a confronto il posizionamento social del nuovo esecutivo e quello dei partiti con l’assetto parlamentare di quella che rappresenta una delle più ampie – e variegate – maggioranze parlamentari di tutta la storia repubblicana. Difficile tirare delle somme in una fase così preliminare e caratterizzata da un’emergenza sanitaria ed economica così rilevante. L’obiettivo, quindi, è di selezionare alcuni iniziali “alert” al fine di poter rilevare nel breve termine le nuove dinamiche operate dai vari partiti ed esponenti politici, oltre ad analizzare quali siano gli effetti di queste dinamiche nel dibattito pubblico.

Un kick off turbolento

Gli inizi di questo nuovo corso comunicativo sono stati segnati da alcuni corto circuiti, dovuti all’occupazione – anche impropria – di spazio di dibattito da parte di altri stakeholders. Tra l’insediamento del nuovo governo e il voto di fiducia da parte della Camere, si rileva il caso delle dichiarazioni di Walter Ricciardi sull’esigenza di un nuovo lockdown e le critiche mosse dal centrodestra al ministro Speranza per la chiusura degli impianti sciistici poco prima della programmata riapertura.

Tuttavia, pur a governo pienamente operativo, non sono mancate critiche da parte di diversi partiti, anche da parte della nuova e ampia maggioranza, che hanno espresso perplessità su questa scelta, soprattutto dopo il mancato intervento del presidente Draghi alla conferenza stampa di presentazione del nuovo Dpcm del 2 marzo scorso.

Il nuovo stile di comunicazione è destinato ad evolvere e l’attenzione è puntata sul tipo di utilizzo che verrà fatto degli account ufficiali di Palazzo Chigi i quali contano – tra Facebook e Twitter – circa 2 milioni di follower. Proprio questi account sono stati infatti utilizzati dal premier Draghi per la pubblicazione di un videomessaggio in occasione della Giornata Internazionale della Donna. Una condivisione che conferma la direzione comunicativa intrapresa dal nuovo esecutivo e, probabilmente, l’inizio di una nuova fase in cui i profili social di Palazzo Chigi acquisiranno una rinnovata centralità.

Partiti, maggioranze e comunicazione social

Una maggioranza così ampia, composta anche da forze che fino a poche settimane fa portavano avanti un legittimo ruolo di opposizione, porta inevitabilmente con sé una riflessione su quali strategie saranno messe in campo dai vari partiti politici per massimizzare il proprio impatto politico, oltre a far evolvere o mantenere la propria identità.

Per quanto riguarda la neonata compagine governativa, da un’analisi delle fanbase emerge che il gruppo parlamentare che può vantare il maggior seguito è il Movimento 5 Stelle, grazie soprattutto ai quasi 4 milioni di follower di Luigi Di Maio, tra tutti anche il ministro con la fanbase più ampia. Ad un ipotetico secondo posto troviamo Forza Italia con quasi 1.2 milioni di follower, al terzo il Partito democratico con 874.710 follower e a seguire Liberi e Uguali, Lega, Italia Viva e i ministri tecnici.

Nella classifica dei ministri più seguiti sui social, a lunga distanza da Di Maio, troviamo il ministro della Cultura Dario Franceschini, la ministra per il Sud Mara Carfagna, il ministro della Salute Roberto Speranza e la ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini. Un’assenza importante è quella dei ministri della Lega, che fino a questo momento hanno mostrato scarsa propensione a comunicare sui social, dettaglio singolare soprattutto se si pensa al massiccio utilizzo delle piattaforme da parte del partito e del leader Matteo Salvini.

In questo contesto, è legittimo pensare che ad essere determinanti saranno le scelte dei leader delle forze di maggioranza i quali, nonostante non ricoprano incarichi di governo, resteranno i detentori delle quote più consistenti di share-of-voice nell’arena social. Primo tra tutti Matteo Salvini, con una fanbase complessiva di oltre 8 milioni di follower, seguito da Giuseppe Conte, probabile prossimo nuovo capo politico di M5S, con i suoi 6,7 milioni di follower. A distanza segue il centrosinistra con i quasi 5 milioni di follower di Matteo Renzi e il milione di fan del dimissionario segretario Pd Nicola Zingaretti.

A supporto di questa evidenza, si affianca una fotografia della maggioranza parlamentare pari a 262 voti al Senato e 535 alla Camera, dove le differenze interne sono ampie. Tuttavia, da una prima ricognizione dei rapporti di forza all’interno delle commissioni parlamentari, appare evidente come una eventuale rottura dell’alleanza, mai troppo formalizzata, tra Pd e M5S rappresenti un grande vantaggio politico per la compagine di centrodestra che potrebbe diventare la forza più compatta a supporto del governo Draghi. I numeri nelle Commissioni parlamentari, se analizzati per alleanze, dimostrano quanto oggi sia il centrodestra ad essere il vero “nucleo di forza”, unitamente ad una presenza di esponenti chiave – sia di Lega che di Forza Italia – in diversi ministeri chiave.

Il governo Draghi – forte dell’autorevolezza del premier e di un’agenda governativa focalizzata sul portare il Paese fuori da quella che costituisce la più grande crisi economica e sanitaria dal secondo dopoguerra – pone alle varie forze politiche un dilemma apparentemente contrastante: trasformare in opportunità di consenso politico un processo che in realtà mette in crisi i posizionamenti identitari dei partiti stessi. Una sfida che caratterizzerà costantemente l’evolvere di questa fase politica e governativa. E il cui esito non sarà affatto scontato.

Il riassetto, anche nel posizionamento dei leader, è in corso, come si nota dal grafico che mostra l’andamento dell’engagement dei principali leader di partito, dal 3 febbraio – data del conferimento del mandato a Draghi – dove si osserva un calo diffuso nelle interazioni con i post, probabilmente fisiologico rispetto alla nascita di un esecutivo che include quasi tutte le forze elette in Parlamento e al conseguente compattamento sul fronte del centrodestra. Sorge dunque spontaneo chiedersi, infine, quale sia il margine di azione dell’opposizione, rappresentata dai fuoriusciti del Movimento, ma soprattutto da Fratelli d’Italia. L’attenzione è focalizzata su Giorgia Meloni che dovrà trovare il giusto tone of voice per sfruttare lo status di unico partito d’opposizione – che per ora sembra premiata con una crescita dell’1,3% nelle intenzioni di voto (arrivando al 17,55%) – senza tuttavia infastidire gli alleati di coalizione. Da un’analisi dei post pubblicati dalla leader di Fratelli d’Italia nelle ultime settimane si nota l’assenza di attacchi diretti a Draghi: anche nel giustificare il voto contrario alla fiducia al nuovo governo, è mancato un attacco al presidente del Consiglio, sostituito con un’accusa rispetto all’eccessivo “peso della sinistra nell’esecutivo”.

Questa “pax draghiana” è destinata a durare? Gli equilibri interni raggiunti all’interno del centrodestra, non sono scevri da latenti frizioni nelle diverse anime dell’esecutivo. Anche nel Pd, l’inaspettata uscita di Nicola Zingaretti e l’arrivo del neo segretario Enrico Letta aprono una lunga fase di riorganizzazione che avrà effetti anche sugli equilibri parlamentari e governativi, oltre che sul piano delle alleanze con il Movimento. Ciò che invece appare certo, è che fino a questo momento il principale contraltare del governo Draghi è stato Il Fatto Quotidiano, il quale seppur negli ultimi anni sia stato aperto sostenitore del M5S ora si trova a esprimere le critiche più accese al nuovo esecutivo, in cui il Movimento, grazie ai numeri che detiene in Parlamento, ricopre ancora una quota significativa della maggioranza, ma che rischia di non essere sufficiente a sé stessa.

Comunicazione e consenso al tempo di Draghi. L’analisi di FB&Associati

Di FB&Associati

L’indicazione del nuovo inquilino di Palazzo Chigi è: “Comunicare solo quando c’è qualcosa da dire e far parlare i fatti”, una strategia molto diversa dal suo predecessore. Funzionerà? L’analisi di FB Bubbles sulla comunicazione del Governo e i suoi effetti sulle strategie di consenso delle forze politiche

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