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È il titolare del Mise, Stefano Patuanelli, a battere il primo colpo pubblico del governo italiano sulle notizie dell’imminente stop definitivo all’acquisizione da parte di Fincantieri dei cantieri francesi Stx. “Stiamo interloquendo con Le Maire (ministro dell’economia francese, ndr) e scriveremo tra oggi e domani una lettera a Vestager e Breton“, i commissari europei alla concorrenza e al Mercato interno, ha detto ai giornalisti al Senato. A stretto giro, nel primo pomeriggio, l’indiscrezione della testata francese Liberation secondo cui il governo di Parigi si starebbe “orientando verso la concessione di un mese supplementare per permettere a Fincantieri di fornire tutti i documenti che gli chiede la Commissione europea”, rispetto alla scadenza del 31 dicembre per finalizzare il contratto sottoposto all’antitrust comunitario. Poco dopo è arrivata la stessa dichiarazione dal ministero dell’Economia francese.

UNA STORIA INFINITA

Si va dunque verso la quinta proroga, sebbene già ieri il Gruppo guidato da Giuseppe Bono ha fatto sapere di “non poter fare di più” in termini di informazioni aggiuntive da fornire alla Commissione. Si attende più che altro uno sblocco politico, tra l’altro su un’operazione partita ormai quattro anni fa, tra intese, passi indietro e non poche sorprese da parte dei cugini d’oltralpe. La Commissione ha accettato di aprire il dossier Fincantieri-Stx a gennaio 2019 su richiesta di Berlino e Parigi. Richiesta che, dato l’interesse europeo e degli stessi francesi sull’operazione (ribadito sempre, quanto meno pubblicamente), sorprese l’Italia, la quale reagì in maniera piuttosto compatta, con maggioranza e opposizioni, Parlamento e governo, a chiedere “rispetto per le aziende italiane” (lo stesso sta accadendo ora). Ma d’altra parte sulla vicenda dei Chantiers de l’Atlantique i colpi di scena non sono mancati. Tutto è iniziato a maggio 2016, quando la gestione di Stx France venne affidata al tribunale fallimentare di Seul, essendo allora il 66% dell’azienda in mano ai sudcoreani. Nel giro di pochi mesi partì la vendita, e alla fine dell’anno l’unica offerta pervenuta fu quella del Gruppo italiano. A maggio 2017 arrivò l’accordo tra Fincantieri e il governo francese, che conservò il diritto di prelazione sulla maggioranza dei cantieri da esercitare entro la fine del luglio successivo.

IL COLPO DI MACRON

Tuttavia, nel frattempo, Emmanuel Macron era salito all’Eliseo. A due giorni dalla scadenza del diritto di prelazione, il ministro delle Finanze Bruno Le Maire, tutt’ora titolare del dossier per Parigi, annunciò la decisione di nazionalizzare Stx, in barba al precedente accordo. Si susseguirono incontri tra i rappresentanti di governo, fino a settembre 2017, quando a Lione Macron e l’allora premier Paolo Gentiloni raggiunsero l’intesa sulla struttura dell’azionariato della società: il riscatto del 50% da parte dell’azienda italiana, con l’aggiunta del prestito di un ulteriore 1% concesso dallo Stato francese per dodici anni, previo via libera delle autorità antitrust. Via libera che dovrebbe arrivare entro domani dopo diversi rinvii. L’ultimo a giugno, con la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager a spiegare: “Indagine sospesa perché troppo complicata”.

QUALI REGOLE?

Eppure, come ribadito spesso su queste colonne, a essere complicate sembrano piuttosto le regole europee sulla concorrenza, datate rispetto a quando accade oltre i confini del Vecchio continente, tra le fusioni cinesi e la crescita di diversi colossi asiatici. “Ho rappresentato che le norme sulla concorrenza sono state elaborate anni fa, non c’era ancora il mercato globale”, spiegava per questo Giuseppe Conte in un incontro a febbraio a Bruxelles con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. “Riproporre quelle regole adesso e applicarle in modo pedissequo – aggiungeva – è un errore, perché è auto-limitativo per i nostri campioni industriali”.

LA VOLONTÀ DI PARIGI

L’impressione è che oltre il nodo delle regole ci sia anche la volontà francese a non cedere i cantieri al gruppo italiano. Alla richiesta all’antitrust europeo (dopo il via libera di quelli quelli di Italia e Francia) si sono aggiunte diverse voci critiche tra Parlamento e sindacati, riprese sempre con vigore dalla stampa d’oltralpe. Qualche settimane fa è emerso anche il “problema Cina”. A offrire vigore all’argomentazione francese è stato l’avvio, a fine novembre, presso il porto di Shanghai, della costruzione della prima nave da crociera del Dragone, costruita da SWS (controllata del colosso CSSC) sulla base della licenza fornita da CCTD (joint venture tra Fincantieri e la stessa CSSC). Un’occasione ghiotta per rilanciare alcune contrarietà all’accordo su Stx e avanzare questioni di sicurezza nazionale. Lo spauracchio sembrava però agitato ad hoc, anche considerando che l’Asia è già presente nel mercato europeo e che non lo sarebbe di più nel caso di acquisizione italiana sull’ex Stx.

COSA RESTA ORA?

Sulla debolezza del tema cinese per la sicurezza nazionale è indicativo che il lato militare della faccenda, tradizionalmente più delicato, è proceduto senza alcun intoppo. A settembre 2017, oltre all’intesa su Stx, i governi di Francia e Italia tracciarono la strada per una progressiva alleanza tra il Gruppo italiano e Naval Group. Un anno dopo, i dicasteri della Difesa annunciavano il pieno sostegno dei rispettivi esecutivi all’accordo raggiunto dalle due società per una joint venture paritetica. A gennaio scorso, Naviris è entrata nella piena operatività, ottenendo a giugno i suoi primi contratti per ricerca e sviluppo. Il mese dopo sono arrivati anche quelli per l’ammodernamento di mezza vita dei cacciatorpedinieri di classe Orizzonte, con gli occhi puntati sul programma per le future corvette europee. Non reggono neanche le tesi per cui ad allungare i tempi sull’accordo per l’ex Stx sia stata la mancanza di chiarimenti alla Commissione da parte di Fincantieri. Il Gruppo di Trieste ha fatto sapere ieri di “non poter fare di più”. Come notato oggi da Claudio Antonelli su La Verità, da parte dell’antitrust comunitario traspare più che altro la voglia di non decidere in attesa della volontà politica dei Paesi coinvolti.

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