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Di Sergio Mattarella si possono dire tante cose. E ognuno è ovviamente libero di esprimere il suo giudizio. Una cosa però è sicura: sbaglia chi immagina che dica o faccia qualcosa senza convinzione, senza aver prima vagliato i pro e i contro, senza considerare le conseguenze di un gesto, di una iniziativa. Lo conferma la sua storia politica, lo squaderna il suo esercizio presidenziale di arbitro rispettoso dei giocatori ma inflessibile nel richiamarli ai loro doveri. Per cui l’uno-due con il quale ha voluto segnare la parte finale del suo mandato, prima che la ghigliottina del semestre bianco ne limitasse fin quasi all’esaurimento i poteri costituzionali, va esaminato con attenzione e rispetto.

È naturale che adesso al centro del proscenio ci sia la scelta davvero coraggiosa di Mario Draghi. Significa che i margini per manovre, furbizie o tentennamenti si sono esauriti. Vuol dire che nell’ora più buia deve far luce il senso di responsabilità verso il Paese e non i calcoli personali. Forse l’ex presidente della Bce otterrà la fiducia del Parlamento o forse no. Ma nessuno può negare che la sua figura abbia una credibilità e uno spessore internazionale: vuol dire che chi lo boccia gioca a dadi col destino di una comunità.

Mattarella lo ha scelto per indicare la strada da seguire, che è quella della competenza, della serietà, dell’autorevolezza, della capacità. In altri termini è la prima parte di un testamento politico che il capo dello Stato consegna ai cittadini e ai loro rappresentanti istituzionali.

Ma c’è anche una seconda parte, che i clamori e le polemiche del fallimento dell’esplorazione del presidente della Camera sul Conte bis inevitabilmente oscura ma che sarebbe un errore clamoroso mettere in sordina, anche e soprattutto per le conseguenze che comporta. Si tratta del ricordo del suo predecessore Antonio Segni che il presidente della Repubblica ha voluto fare nell’anniversario dei 130 anni dalla nascita. Già il riferimento all’abolizione del semestre bianco calamiterebbe tutta l’attenzione.

Ma è l’affermazione, netta, di non voler proseguire con un secondo mandato qualora ci fosse chi glielo  presenterebbe che rappresenta il dato politico più eclatante. Diciamo la verità: in una condizione così difficile e confusa, con il Parlamento depotenziato e i partiti sotto schiaffo, il bis di Mattarella metterebbe d’accordo molti, sollevandoli dalla fatica di pensare il futuro della più importante magistratura dell’Italia. Il no secco del capo dello Stato ad una rielezione, rifiutando il copione che portò invece al bis il suo predecessore Giorgio Napolitano, mette tutti di fronte allo proprie responsabilità.

Scegliere il nuovo inquilino del Quirinale significa appunto disegnare un percorso strutturale per l’Italia che sarà; una volta, sperabilmente, superata la pandemia. Quale presidente dopo Mattarella? Scegliendo Draghi per palazzo Chigi c’è anche il tentativo dare l’imprimatur per una possibile successione? Chi ragionasse così farebbe un torto al presidente, addossandogli pensieri e manovre che non gli appartengono.

Ma è certamente un fatto che il voto di fiducia si intreccia con i destini della legislatura che ha al centro l’elezione del nuovo capo dello Stato. Fiducia o no a Draghi e scelta del successore di Mattarella sono due atti politico-istituzionali fondamentali. Non sono obbligatoriamente collegati è ovvio, ma negherebbe la realtà chi non ne avvertisse il nesso. Ed è inevitabile che se, come con molta retorica si dice, l’ex governatore “salvasse” il Paese si presenterebbe in pole position per il Colle più alto.

Mattarella ha fatto il suo dovere fino in fondo e ha messo sul tappeto tutte le carte, anche con la drammatizzazione che il momento attuale comporta. Dopo averlo ringraziato, sarebbe opportuno fare propria la lezione in tutti i suoi aspetti.

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