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L’avvio imminente delle campagne di vaccinazione e l’arrivo del nuovo anno sembrano suscitare in tanti italiani – e non solo – l’idea di poter finalmente riavvolgere il nastro e tornare indietro a dove eravamo un anno fa , più o meno soddisfatti della nostra condizione pre-pandemica.

Un luogo che, però, non esiste più.

Probabilmente uno dei rischi più immediati è che l’arrivo del vaccino – che tutti giustamente attendiamo come punto di svolta di questa faticosa risalita verso una nuova normalità – si traduca in un pericoloso tornante ad “u” nelle nostre attitudini mentali, come se nulla fosse successo.
Una sorta di “liberi tutti” dalla responsabilità di dover fare tesoro di ogni esperienza e di ogni criticità, pensando di tornare alle ‘sicurezze’ del passato.
Sicurezze peraltro del tutto relative ed effimere, se si pensa al ritratto dell’Italia di dodici mesi fa: un mix di grandi potenzialità frenate da un sistema di regole e infrastrutture pubbliche ancora in affanno nel rispondere alle esigenze di innovazione del paese. Un paese che faticava ad esprimere una volontà vera di cambiamento e di modernità, in una sorta di difesa di uno “status quo” che inesorabilmente lo faceva scivolare agli ultimi posti di ogni classifica europea.

Nell’anno che verrà, non vorremmo perdere l’occasione che si è determinata grazie alla presa di coscienza in milioni di imprenditori (e cittadini) italiani che il digitale non è un problema da gestire, ma è la soluzione per superare molti dei problemi che rendono difficile e inefficiente il nostro “oggi”.
L’obiettivo che deve accomunare gli sforzi di tutti, in questo momento, è quello di realizzare un’Italia consapevolmente digitale, capace di mettere le sue energie migliori al servizio dell’innovazione.

Non vorremmo (ad esempio) perdere l’opportunità che si è creata nel mondo della scuola, per immaginare e realizzare modi diversi per condividere e far crescere saperi ed esperienze. È sotto gli occhi di tutti che proprio grazie al lockdown il nostro sistema scolastico ha fatto un balzo in avanti nell’uso delle tecnologie che avrebbe richiesto dieci anni seguendo la normale evoluzione di questo specifico contesto!

È il momento di sfruttare queste opportunità e non correre il rischio di vedere ampliarsi (anziché ridursi) il gap digitale tra le imprese più innovative e quelle che guardavano al digitale con sospetto o indifferenza. La diffusione finalmente capillare dell’identità digitale, grazie allo Spid, sta portando il digitale nel quotidiano di tanti imprenditori che, fino a pochi mesi fa, dichiaravano candidamente che a loro internet non serviva. Mentre ora – ad esempio – sono quasi un milione quelli che usano il cassetto digitale messo a loro disposizione dalle Camere di commercio per accedere ai propri dati ufficiali gratuitamente, anche da smartphone.

Quello che vorremmo è tenere viva la spinta all’innovazione che sta prendendo corpo intorno a comportamenti diffusi sul fronte dei pagamenti digitali, all’uso quotidiano di piattaforme online per l’accesso ai servizi pubblici, alla consapevolezza del valore di principi come il ‘once only’ nei rapporti con la pubblica amministrazione. Semi di un futuro che la pandemia ha comunque contribuito a far germogliare e crescere in modo accelerato.

Sul fronte delle imprese, la realtà vincente del made in Italy e i successi dell’imprenditoria e del genio italiano nel mondo sono sempre stati in qualche modo affiancati dal corollario ‘nonostante’, riferito ai ritardi e alle mancate riforme che collocano il nostro paese in coda a tante classifiche internazionali. Adesso è il momento di rovesciare i ruoli e fare in modo che sia il paese a mettersi al passo delle sue imprese.

“Quando si arriva al futuro, il nostro compito non è di prevederlo, ma piuttosto di consentire che accada.” (Antoine de Saint-Exupéry)

La sfida dell’Italia di oggi è questa. Una sfida che significa realizzare una sburocratizzazione della Pa ‘by design”, che parta dalla sua organizzazione e dalla preparazione di una generazione di “digital civil servant” consapevole di essere i primi ‘abilitatori’ del futuro di tutti noi. A partire da quello delle nostre imprese, dalle quali dipende il benessere – economico e sociale – di milioni di famiglie italiane.

Il tempo della pandemia è per noi quello che per i nostri nonni e padri è stato il tempo della guerra: la caduta da cui rialzarsi diversi e più forti grazie al coraggio di r-innovare modelli sociali, valori, politiche economiche, mercati. L’arrivo del vaccino non deve farci tornare “quelli di prima”, semmai farci diventare “quelli di domani”, aiutandoci a fare il salto verso il mondo che sarà e che altri – anche senza di noi – stanno già costruendo.

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