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Fra qualche ora si tornerà a usare il vaccino sospeso. Si riprenda a correre. Correndo, però, si faccia tesoro degli errori commessi, che segnalano l’esatto opposto di quel che si sente ripetere a pappagallo: a fallire non è stata l’Unione europea, ma gli Stati nazionali.

Il Regno Unito è partito prima di noi europei, con ottimi risultati. Bravi. A renderlo possibile non è stata la Brexit, come erroneamente si ripete, ma l’avere utilizzato la procedura d’urgenza in capo all’autorità nazionale del farmaco. Lo avrebbe potuto fare ciascun Stato dell’Unione, ma si è preferito attendere, giustamente, il via libera (con procedura accelerata) dell’Ema, l’autorità Ue. Che, si badi bene, non è come la Fda statunitense, perché ciascuno conserva l’imprescindibile benestare dell’autorità nazionale (da noi Aifa). Il ritardo, a quel punto, era di un mese un mese e mezzo. Recuperabile.

Ema non ha mai né chiesto né suggerito di sospendere l’uso di un vaccino. È stato deciso da governi nazionali, presi fra loro da fenomeni imitativi (da noi si è detto: se sospendono i tedeschi facciamolo anche qui). Ora tutti attendono un nuovo parere Ema, il che è di gigantesca ipocrisia. Perché dimostra che prima non si devolve un potere che si tiene dentro i confini, salvo poi chiedere una copertura quando si combina un guaio. Detto diversamente: i governi nazionali si piegano alle paure infondate, salvo poi chiedere alle istituzioni europee come comportarsi. Il tutto in un caos, tutto nazionale, animato da forze politiche dissennate che da una parte devono sempre dare la colpa all’Europa che ha autorizzato, mentre dall’altra reclamano l’uso di vaccini manco esaminati.

Perché roba simile non capita, ad esempio, nella politica monetaria? Perché in quella ci sono istituzioni (la Bce) compiutamente federali, generando forza rispettata su tutti i mercati. Prima lezione: l’Europa che fallisce non è quella che c’è, ma quella che non c’è. Seconda lezione: a deprecare l’Europa dove non c’è sono gli stessi che vorrebbero cancellarla anche dove c’è, in un trionfo di incoerenza e demagogia.

E veniamo alla terza lezione: certo che anche i vaccini sono, ora, uno strumento di politica, ad esempio per la loro distribuzione nel mondo; certo che la disinformazione e il fomentare le paure è uno strumento utilizzato da chi punta a disarticolare l’Ue prima e le democrazie occidentali a ruota; e certo che la partita economica è enorme. Ma la prima e la seconda certezza escludono la forza di ciascun singolo Stato nazionale europeo, mentre la terza funziona addirittura al contrario: i soli potenziali e possibili conflitti d’interesse, derivanti dalla voglia di favorire una ditta e azzopparne un’altra, esistono a livello di Stati nazionali, non di Ue. Derivando da questo anche le difficoltà contrattuali, da esercitarsi con soggetti di cui, talora, questo o quello Stato è socio o finanziatore.

Sono cose che hanno capito benissimo quanti ci vogliono male. Siamo noi che fatichiamo a volerci bene, in un fritto misto di antieuropeisti pronti a sostenere cose opposte ed europeisti che se la fanno sotto e sanno solo parlare di errori e tragedie, privi dell’orgoglio che i successi dovrebbero dare.

AstraZeneca, errori e viltà nazionali (non Ue) secondo Giacalone

I governi nazionali si piegano alle paure infondate, salvo poi chiedere alle istituzioni europee come comportarsi. Il tutto in un caos, tutto nazionale, animato da forze politiche dissennate che da una parte devono sempre dare la colpa all’Europa che ha autorizzato, mentre dall’altra reclamano l’uso di vaccini manco esaminati. Perché non succede con la politica monetaria? Perché c’è la Bce…

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