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Nuova partita, stesso schema. Dietro la “Guerra Fredda” dei vaccini si cela una strategia di Russia e Cina per guadagnare terreno sugli Stati Uniti e le democrazie occidentali. Nel medio periodo, come dimostra il successo diplomatico del vaccino Sputnik V, può sembrare una strategia vincente. Ma una volta terminata l’emergenza sanitaria il bilancio sarà invertito, dice a Formiche.net Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, in libreria con “Atlante del mondo che cambia” (Rizzoli).

Direttore, perché la corsa al vaccino contro il Covid-19 è una questione di sicurezza?

La pandemia e l’attuale campagna per i vaccini hanno confermato l’esistenza di una competizione di Russia e Cina nei confronti degli Stati Uniti e dell’Occidente. Dal 2016 questi due Stati stanno tentando di mutare a loro favore l’equilibrio internazionale, cercando di dividere gli Stati Uniti dall’Europa e fomentando instabilità all’interno di entrambi. L’emergenza sanitaria ha accelerato questo processo.

Chi è avanti nella competizione?

Apparentemente il vantaggio è della Cina. Perché prima di tutti è uscita dalla pandemia e ha rilanciato la sua economia. Il governo cinese dispone di vaccini che, anche se non approvati dalle autorità americane ed europee, riescono a proteggere una parte importante della popolazione.

La Russia insegue?

Ha il vantaggio di essere arrivata per prima alla produzione di un vaccino, lo Sputnik V, e ha iniziato a esportarlo, a differenza dei vaccini cinesi, che sono in gran parte destinati al mercato interno e in secondo luogo all’Africa e all’Asia. La Russia ha vaccinato solo una percentuale minima della sua popolazione, ma sta destinando importanti risorse per creare un sistema di produzione esterno ed esportare Sputnik ovunque possibile, dal Sud America all’Europa.

Chi vincerà nel lungo periodo?

Gli Stati Uniti. Sono la nazione che sta uscendo più forte dalla crisi della pandemia. Perché il vaccino è stato creato in dieci mesi, un record, da due start-up. Una americana, Moderna, e una tedesca, BioNTech, che è riuscita a sviluppare il farmaco grazie alla produzione statunitense.

Qual è la ragione alla base del successo americano?

La produzione dei vaccini si basa sulle biotecnologie, non su metodi tradizionali come nel caso cinese e russo. Da quando gli Stati Uniti hanno iniziato a produrre su scala industriale il vaccino, grazie alle grandi compagnie americane che hanno messo a disposizione i propri stabilimenti, hanno dato il via a un ritmo di vaccinazioni che non ha pari nel resto del mondo.

Quanto manca al traguardo?

Come ha annunciato il presidente Joe Biden, è realistico pensare che, ai ritmi attuali, le vaccinazioni in America saranno terminate a fine maggio. Da quel momento non solo l’economia americana potrà ripartire, ma il sistema di produzione dei vaccini sarà destinato all’estero. L’America si sta preparando a un vero e proprio Piano Marshall vaccinale.

L’Ue invece arranca. Cosa insegna l’esperienza statunitense?

Il sistema America ha fatto la differenza. I due miliardi di dollari stanziati da Trump a favore della ricerca hanno prodotto i vaccini. E la scelta di Biden di affidare la distribuzione al Pentagono ha sovrapposto l’apparato militare a quello industriale, fino a raggiungere un ritmo di vaccinazioni senza eguali nel mondo. Chiese, moschee, sinagoghe, centri commerciali, caserme oggi sono aperte per permettere a tutti di vaccinarsi.

Torniamo a Sputnik V. Ci sono criticità?

Chi ha esaminato Sputnik V in Occidente sostiene che è un vaccino formidabile, che difende il corpo umano in maniera superiore agli altri vaccini attualmente approvati in Europa. C’è un problema.

Quale?

L’Ema, l’agenzia europea del farmaco, non può approvare Sputnik V finché i russi non aprono le proprie strutture di produzione alle istituzioni europee. Perché la Russia continua ad opporsi a queste ispezioni? Qui si entra nel campo delle speculazioni, che non ci appartengono. Personalmente non credo che ci sia un pregiudizio antirusso a Bruxelles. Credo piuttosto che la Commissione sia in grande difficoltà e avrebbe bisogno di avallare il vaccino di Mosca, se solo potesse ottenere le informazioni necessarie.

In Italia c’è un pressing trasversale per produrre il vaccino russo. Un’azienda italo-svizzera, Adienne, ha annunciato l’avvio della produzione per il prossimo luglio. Nel frattempo la Lega di Matteo Salvini chiede di accelerare i tempi.

Questi forzature non possono avere esito in Ue senza un’autorizzazione ufficiale dall’Ema. Per di più non centrano il cuore della questione. La Russia non punta a distribuire il vaccino in Europa, quanto a produrlo in Europa per esportarlo in altri Paesi dove non è richiesta l’autorizzazione dell’Ema, come in Africa o in America Latina.

Lo Sputnik in Europa è solo di passaggio?

La destinazione finale non è il continente. Gli impianti produttivi richiesti per sviluppare il vaccino sono molto sofisticati, richiedono una molteplicità di competenze e strutture che, ad oggi, mancano in Russia. Siglare contratti con gli stabilimenti europei permette al governo russo di esportare all’estero il farmaco.

Perché l’Europa dovrebbe preoccuparsi?

Perché si trova di fronte a due problemi. Il primo: Sputnik V diventerebbe un medicinale prodotto in Europa, dove però non sarebbe legale. Il secondo: la Commissione Ue sta cercando con un certo affanno infrastrutture industriali per produrre vaccini autorizzati che possano essere distribuiti alla popolazione europea. Se una parte delle infrastrutture farmaceutiche è impegnata a produrre il vaccino russo e inviarlo in Africa, si può porre un problema strategico.

Un problema che potrebbe riguardare da vicino l’Italia. In caso di necessità il governo può esercitare il golden power per tutelare le strutture di produzione?

Io credo che non si arriverà neanche all’esercizio teorico del golden power, per un motivo semplice: con Draghi alla guida l’Italia rispetterà le regole europee. Potrà tentare di modificarle a proprio vantaggio: lo abbiamo visto quando il presidente del Consiglio è intervenuto per bloccare l’export di AstraZeneca verso l’Australia. Ma non permetterà la produzione di materiale non consentito. Qualunque tentativo di accelerare è destinato a non avere seguito.

Il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti sta lavorando insieme al commissario Ue Thierry Breton a un progetto di riconversione industriale che permetta nel medio periodo di produrre i vaccini autorizzati in Italia.

Penso che questa iniziativa vada nella direzione giusta e intercetti la vera sfida della pandemia. L’Europa si deve dotare di strutture di produzione per avere vaccini per 300 milioni di abitanti, almeno due volte l’anno, ragionevolmente per i prossimi dieci anni. Non solo: se dovessero esserci nuovi virus e pandemie, servirebbe un’infrastruttura in grado di produrre i vaccini in fretta. Il piano per la riconversione può offrire all’Italia la possibilità di tornare a investire nell’industria farmaceutica, un comparto che è parte integrante della nostra storia industriale.

Che ruolo può svolgere l’Europa in questo scenario?

Ha una grande occasione. Come è possibile che aziende con una forte presenza in Europa non siano state in grado di sviluppare il vaccino? È possibile perché l’industria europea della farmaceutica è al di sotto delle sue possibilità. Ue e Nato devono porsi insieme la necessità di avere infrastrutture civili in grado di proteggere la salute pubblica.

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