Skip to main content

“Siamo all’alba di una nuova Libia, “è un’occasione unica” per la Libia commenta Stephanie Williams, esperta diplomatica americana facente funzione del delegato Onu per la crisi nel Paese nordafricano, commentando l’inizio degli incontri di Tunisi, il primo faccia a faccia tra i delegati delle due parti in guerra, la Cirenaica e la Tripolitania. Tutto si muove sotto egida onusiana, che spera di far uscire dagli incontri in corso un nuovo grande accordo in stile di quell’odio cinque anni fa in Marocco, dove fu raggiunto il “Libyan political agreement” – l’accordo che teoricamente avrebbe dovuto portare già a termine il processo di rappacificazione, e che invece è stato sempre intralciato dalle ambizioni del ribelle dell’Est, il signore della guerra Khalifa Haftar, che ha sempre pensato a conquistare il paese con le armi.

Il Forum del Dialogo Politico Libico avviato oggi (in persona, dopo precedenti contatti in videocall a causa della diffusione della pandemia in Nordafrica). L’istituzione del Forum risale al 19 gennaio, dopo la Conferenza internazionale sulla Libia che si è svolta a Berlino, quando Haftar non solo prese una posizione avversa, ma fece bloccare i pozzi petroliferi dai suoi miliziani mentre gli incontri erano in corso. Ora, grazie alla mediazione diretta con l’Est del vicepremier Ahmed Maiteeg, la produzione di petrolio dalla Libia è recentemente ripartita e nel frattempo, il 23 ottobre, le due parti in conflitto hanno accettato il dialogo – firmando il cessate il fuoco a Ginevra, davanti ai negoziatori dell’Unsmil (la Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia).

Naoufel Omeyya Seddik, senior advisor per il Medio Oriente e il Nord Africa del Centre for Humanitarian Dialogue (Hd), il think tank con sede a Ginevra che insieme all’Onu ha organizzato il dialogo di Tunisi, ha spiegato ad Agenzia Nova la composizione del tavolo. Tredici membri scelti dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk (il parlamento eletto nel 2014 che si riunisce nell’est, espressione delle istanze di Haftar) e altri 13 dall’Alto Consiglio di Tripoli (il “Senato” di Tripoli dove sono confluiti i membri del soppresso Congresso generale, l’autorità legislativa a trazione islamista nata dopo la rivoluzione anti-Gheddafi). “Sono tredici perché tredici sono le circoscrizioni elettorali della Libia. Ogni istituzione ha scelto i suoi rappresentanti con il medesimo meccanismo”, spiega Seddik: “gli altri 49 delegati “sono stati selezionati da Unsmil sulla base di moltissimi criteri geografici, politici e tribali”, ha aggiunto.

Tecnicamente, dagli incontri dovrebbe uscire un nuovo assetto interno: un presidente della Tripolitania e un primo ministro della Cirenaica, o viceversa per assicurare copertura totale del paese, ma nonostante la spinta esterno – via Onu e Comunità internazionale – non mancano le criticità. A Tripoli è in corso uno scontro che coinvolge gli esponenti della Fratellanza musulmana contro le posizioni più moderate e che si allarga a diversi attori esterni: da un lato la Turchia, più vicina ai Fratelli, dall’altro l’opposizione di Egitto, Emirati Arabi e Russi (protettori di Haftar e della Cirenaica) che non vogliono membri dell’organizzazione panaraba nei ruoli apicali. Circola da qualche ora una bozza conclusiva sui colloqui, che però sembra alterata da una delle parti che l’ha diffusa.

Libia, perché il dialogo di Tunisi è l'ultima chance per la pace

Il negoziato intra-libico in Tunisia è cruciale per il futuro del Paese, ma mentre l’Onu e la Comunità internazionale spingono sull’ottimismo, in Libia ci sono ancora divisioni per i futuri ruoli apicali

Così l’Ue festeggia Biden (con uno strappo alla regola)

Borrell, capo della diplomazia Ue, scrive: “È prassi diplomatica evitare di esprimere preferenze politiche. Ma non è un segreto che gli ultimi quattro anni siano stati complicati per le relazioni con gli Usa”. E nomina Trump soltanto una volta, per sottolineare che ancora non ha concesso la vittoria allo sfidante

Il trumpismo non è finito (e c'è di peggio). Parla Cacciari

Piano a suonare il requiem al trumpismo, spiega il filosofo Massimo Cacciari. Le ragioni sociali che lo hanno fatto nascere sono ancora lì e forse sta nascendo qualcosa di peggio. Biden? Non potrà essere un presidente moderato. E l’Europa la smetta di aspettare gli Stati Uniti con le mani giunte

Biden

Tasse e Cina, il sentiero stretto di Biden. Parla Crolla (AmCham)

Intervista al consigliere delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy. Un Congresso solo per metà democratico renderà difficile aumentare le tasse alle majors e fermare la guerra commerciale con Pechino. Le priorità di Biden sono pandemia e dialogo coi Repubblicani, con cui l’ex numero due di Obama ha ottimi rapporti. E Trump non è finito

Balcani, ecco chi scommette sulla nuova agorà geopolitica

Un investimento strategico per la promozione della sicurezza e della stabilità in Europa: a questo punta il cosiddetto Processo di Berlino, sotto l’organizzazione congiunta di Bulgaria e Macedonia. Sullo sfondo la creazione di un mercato comune regionale anche per attutire la penetrazione cinese

Perché il genero di Erdogan ha lasciato il ministero dell'Economia?

Il ministro dell’Economia, il genero di Erdogan, si dimette. Sullo sfondo una crisi economico-finanziaria profonda, che il presidente fatica ad abbinare all’avventurismo, ma forse c’è anche la necessità di riassettare i rapporti con Washington in vista del nuovo presidente Biden

Trump sta provando a ingabbiare Biden sull’Iran

Nei suoi ultimi 70 giorni l’amministrazione Trump imporrà nuove sanzioni sull’Iran, rivela Axios. Nel mirino non il programma nucleare ma quello missilistico e i diritti umani. Biden riuscirà a smarcarsi e riportare in vita l’accordo Jcpoa?

Benzina sul fuoco. Così Putin incita Trump

“La Russia potrebbe continuare ad accentuare le critiche contro il voto per corrispondenza”, avvertivano gli analisti della Homeland Security americana a inizio settembre. Dal Cremlino benzina sul fuoco delle accuse di brogli di Trump e nessun riconoscimento per Biden

Usa 2020, c'è feeling tra Biden e Maduro?

L’arrivo del nuovo presidente americano aprirà una nuova fase nei rapporti tra gli Stati Uniti e il Venezuela. Ma il governo del candidato democratico aumenterà la pressione sul regime venezuelano o cambierà la linea politica di Trump? E su Juan Guaidó…

 

 

Come sarà il Pentagono di Joe Biden (guidato da Michèle Flournoy?)

C’è il nome di Michèle Flournoy sulla casella del Pentagono per Joe Biden. Con diversi incarichi con Clinton e Obama, e molteplici legami tra think tank e apparati militari, sarebbe la prima donna a guidare il dipartimento della Difesa. Tra budget, missioni all’estero e armi nucleari, ecco come potrebbe cambiare la politica di difesa degli Stati Uniti

×

Iscriviti alla newsletter