Skip to main content

A sette anni dall’inizio dei negoziati pare che l’accordo comprensivo sugli investimenti (Cai) giungerà a conclusione prima della fine del 2020. Il momentum creato dall’impellente insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca e dalla determinazione della presidenza tedesca del Consiglio dell’Unione europea ha portato a nuove concessioni da parte cinese.

Di per sé la conclusione di questo accordo è una notizia positiva, infatti permetterebbe maggiore accesso e tutela delle imprese europee al mercato cinese, un avvicinamento alla tanto agognata reciprocità. Eppure, è impossibile non notare come l’impazienza cinese possa essere non solo frutto del prossimo cambio di presidenza negli Stati Uniti, ma anche del fatto che a gennaio 2021 entrerebbe comunque in atto la nuova legge sugli investimenti esteri in Cina che vedrebbe comunque un’apertura del mercato. La legge è stata completata dall’adozione di un meccanismo di revisione degli investimenti che opera in difesa della sicurezza nazionale. Il meccanismo comprende alcuni settori d’interesse proprio del Cai come energia, risorse naturali, agricoltura, tecnologie internet e servizi finanziari. Nulla di strano, sia gli Stati Uniti sia gli europei hanno adottato meccanismi di protezione simili, anche questa è reciprocità. Tuttavia, rimane da chiedersi se questa versione del Cai porterebbe vantaggi effettivi in più rispetto alla già pianificata apertura e se questi vantaggi sarebbero poi limitati da questo nuovo meccanismo.

Il contenuto dell’accordo non è l’unico problema. S’aggiunge il tipo di messaggio mandato dall’Unione europea. La preoccupazione in questo caso non è solo Washington, sarebbe infatti strano pensare che le relazioni tra i due attori possano incrinarsi per la firma del Cai. Il problema è che l’Unione europea continua a segnalare incoerenza, agli Stati membri, ai partner e al mondo. Non è mai stato un mistero che, come tanti altri, anche l’Unione europea mentre colloca i valori in prima linea, sia principalmente concentrata su interessi economici, questa non è una caratteristica né nuova né unica dell’Unione europea. Eppure, l’Unione europea rispetto ad altri è particolarmente vocale nell’identificarsi con questi valori, questo fa si che poi quando questa posizione valoriale viene compromessa per favorire interessi economici, il contrasto sia particolarmente evidente.

Nel caso specifico del Cai si sono raggiunti livelli che rasentano il comico. La Commissione europea annuncia la vicina chiusura degli accordi la stessa settimana in cui il Parlamento europeo vota una risoluzione in difesa degli uiguri. L’ironia? Il Cai si firmerà ma senza la condizione che vorrebbe l’abolizione del lavoro forzato in Cina, lavoro forzato che è proprio elemento alla base della risoluzione del Parlamento. In realtà, la firma del Cai non impedirebbe all’Unione europea di applicare sanzioni per gli avvenimenti nello Xinjiang o per altro, ma il problema qui non è la pratica bensì l’incoerenza del messaggio. Questa volta, per giunta, la divisione non è tra i diversi interessi degli Stati membri, ma tra istituzioni. In questo caso il messaggio è arrivato forte e chiaro, gli interessi economici dell’Unione vengono prima di tutto.

Il problema dunque non è che l’Unione europea firmi un accordo sugli investimenti con la Cina, che è ovviamente benvenuto, ma in primis che questo accordo possa non portare reali vantaggi alle imprese europee (non vantaggi sussidiari a una legge che passerebbe comunque) e che vada a sottolineare la recidivante incoerenza di cui l’Unione europea si macchia nella comunicazione della propria identità e posizione. Infine, non ignorabile è la valutazione della coerenza del Cai con il quadro europeo sugli investimenti e l’iniziativa riguardante le imprese finanziate dallo Stato, nonché la capacità dell’accordo di portare la controparte cinese ad aderire realmente a un meccanismo di risoluzione delle controversie in linea con i requisiti legali europei e internazionali.

Cosa non torna nell’accordo Ue-Cina. Scrive Ghiretti (Iai)

Di Francesca Ghiretti

Il contenuto dell’accordo Ue-Cina non è l’unico problema: c’è anche quello del segnale inviato da Bruxelles a Washington. L’analisi di Francesca Ghiretti, ricercatrice nell’ambito degli studi sull’Asia presso l’Istituto affari internazionali

Immigrazione, la diplomazia torni al centro. L’analisi di Pellicciari

Perché serve un’azione diplomatica forte anche quando si parla di immigrazione. L’analisi di Igor Pellicciari, professore di Storia delle Relazioni internazionali alla Luiss e all’Università di Urbino

La Russia è ancora in cima alla lista dei cattivi

La Russia è una minaccia per gli Stati Uniti e per la stabilità di regioni e sistemi democratici. L’incursione digitale contro il governo statunitense racconta di come a Mosca non mollino l’idea strategica e pone Biden davanti a una situazione complessa

Più collegialità o si cambia. L’ultimatum di Italia Viva a Conte

“Non c’è più fiducia tra maggioranza e premier. Ora serve collegialità, non un uomo solo al comando”. Arriva l’ultimatum di Ettore Rosato (Italia Viva) a Conte: “Nostre ministre pronte alle dimissioni”

Europa, Turchia, Israele e mondo arabo. Il bilancio 2020

È tempo di bilanci per il 2020, che non è solo l’anno del Covid ma lascia dietro di sé una serie di dossier di politica estera rimasti irrisolti. L’analisi di Giancarlo Elia Valori

La pandemia e la nostra libertà. Una riflessione di fine anno

Di Raffaello Morelli e Pietro Paganini

La pandemia sta facendo capire che la libertà non è affatto mancanza di regole, fisiche e mentali. La libertà sono le regole che consentono ad ogni individuo di esprimere al meglio le proprie caratteristiche fisiche e mentali. Essere liberi è organizzare la propria convivenza rispetto agli altri individui e ai fatti della vita. L’intervento di Raffaello Morelli e Pietro Paganini

Perché una sostenibilità (non di facciata) fa volare il business

Oggi essere sostenibili non è un orpello, un elemento da sfruttare per creare un’immagine positiva di sé. È piuttosto una condizione necessaria, importantissima, per esistere e uscire dalla crisi economica esasperata dall’emergenza Covid. La riflessione di Stefano Cuzzilla, presidente Federmanager

Intelligence, autorità delegata e partiti. Tutto quello che c’è da sapere (e capire)

Vogliamo riportare il veleno della lottizzazione politica nell’ambito della sicurezza nazionale? Dovremmo fare esattamente il contrario per salvare l’interesse nazionale. L’analisi di Adriano Soi, già prefetto e responsabile della Comunicazione istituzionale del Dis, docente di Intelligence e sicurezza nazionale presso la Scuola di Scienze politiche “Cesare Alfieri” di Firenze

Phisikk du role - La coda velenosa del 2020 e un pronostico su Draghi

Chi vuole davvero le elezioni, rischiando che i propri parlamentari cambino casacca pur di sostenere qualcosa che tenga lontane le urne? Perché è questo che sta serpeggiando nelle aule parlamentari, dopo il taglio degli scranni ratificato col voto popolare: la paura del non ritorno. La rubrica di Pino Pisicchio

Caro Mario, se l'offerta arriva, it's your choice ma... Firmato Pasquino

Draghi dovrebbe essere alla guida di un governo di quale tipo? Tecnico, di unità nazionale, di solidarietà, di grandissima coalizione, “inciucio”, di sospensione della politica, del presidente? Comunque vada sarebbe  subito esposto a due critiche, entrambe sbagliate, ma orientate a metterne in questione la legittimità. Il commento di Gianfranco Pasquino

×

Iscriviti alla newsletter