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Forse la crisi del suo del debito, privato e sovrano, non fa poi così paura alla Cina. O forse è solo un attacco, piuttosto acuto, di ottimismo. Fatto sta che dall’assemblea annuale del partito comunista cinese sono uscite due indicazioni che sembrano ignorare il delicato momento delle finanze pubbliche del Dragone. Il quale, meglio ricordarlo, tra banche travolte dagli npl, bolla del mattone e Belt&Road a rischio frana (qui l’intervista all’economista Carlo Pelanda), sta sperimentando le prime vere crepe nella sostenibilità delle sue finanze.

Eppure, tutto questo non sembra spaventare Pechino. Almeno per ora. La relazione del primo ministro cinese, in apertura di Congresso, parla chiaro. La Cina stima i per il 2021 un Pil in crescita di oltre il 6% in un contesto inflattivo intorno al 3%. Non finisce qui. I piani previsti dal governo includono anche la creazione di più di 11 milioni di nuovi posti di lavoro nelle aree urbane, dove la disoccupazione è intorno al 5,5%.

Insomma, dopo il +2,3% di crescita del 2020 che ha stupito il mondo, la Cina mira a un forte rimbalzo dopo la crisi della pandemia del Covid-19, puntando nel 2021 a un’espansione con maggiori sforzi su riforme, innovazione e sviluppo di alta qualità. Il problema rimane il deficit, ad oggi inchiodato al 3,6%. Pechino fino a pochi giorni fa era talmente preoccupata dall’andamento del disavanzo che aveva persino deciso di fermare temporaneamente l’emissione di bond sovrani, con cui finanziare il debito. Ma ora la musica cambia. Il governo infatti prevede un deficit di bilancio del 3,2% sul Prodotto interno lordo, ha annunciato il premier Li Keqiang nel suo intervento, un equilibrio di base della bilancia dei pagamenti, una solida crescita dei redditi e un forte aumento sia dei volumi sia della qualità delle importazioni.

L’altra notizia emersa dal Congresso è la nuova spinta alle imprese. Anche qui in barba al fatto che decine di banche cinesi rischiano il default perché famiglie e imprese non riescono a rimborsare i prestiti nelle province. La Cina prevede infatti di aumentare il numero di prestiti offerti dalle sue maggiori banche a micro e piccole imprese di oltre il 30% nel 2021.

Per ammissione dello stesso Li, le banche sarebbero oggi incoraggiate ad aumentare il credito per fornire un supporto mirato alle aziende e ai settori che continuano a essere colpiti dalle ricadute del coronavirus. Capitolo a parte, la stretta sulle grandi aziende private tecnologiche, costata già ad Alibaba e le sue controllate la perdita del monopolio nazionale su pagamenti e transazioni.

“Rafforzeremo la regolamentazione sulle società di partecipazione finanziaria e sulla tecnologia finanziaria per garantire che le innovazioni finanziarie avvengano secondo una regolamentazione prudente”, ha affermato venerdì Li. “Miglioreremo il meccanismo per la gestione dei rischi finanziari, garantendo che non sorgano rischi sistemici. Le istituzioni finanziarie devono servire l’economia reale come dovrebbero.” Insomma, Pechino non molla la presa sulle grandi major. Anzi.

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