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Ormai il mondo è abituato ai dazi di Donald Trump. A nove mesi dall’insediamento alla Casa Bianca, più o meno tutte le economie del globo hanno imparato a conoscere il metodo Trump, con un orizzonte strategico che può ridursi semplicemente a un obiettivo ristabilire un equilibrio rispetto allo squilibrio, presunto e calcolato in maniera empirica, nella bilancia commerciale del Paese che guida. Dopo l’accordo di inizio agosto con l’Europa, quello ancora prima con il Regno Unito e la stretta sull’India (con tariffe al 50% che hanno irrigidito non poco New Delhi, improvvisamente riavvicinatasi alla Cina), arriva una nuova data da cerchiare con il rosso.

Questa volta è il primo ottobre, e arrivano nuove tariffe. Terreno di gioco? Farmaci, ma non solo. Washington le ha fissate al 100% sui farmaci (ma per l’Europa l’asticella dovrebbe rimanere al 15%, in forza del medesimo accordo di mezza estate), al 50% sui mobili da cucina e da bagno, al 30% e al 25% sui camion. E c’è una deroga, non da poco. I dazi sui farmaci, ha chiarito la Casa Bianca, non saranno applicati se un’azienda farmaceutica ha già uno stabilimento negli Stati Uniti, o ne sta costruendo uno. Il presidente americano ha anche tentato di spiegare le ragioni che lo spingono a rimettere in primo piano la sua politica commerciale aggressiva. Semplificando e sintetizzando, questi prodotti stranieri hanno invaso gli Stati Uniti e lui deve proteggere il suo processo produttivo per ragioni di sicurezza nazionale.

Ma ci sono anche altre considerazioni da fare. Tanto per cominciare, c’è nell’amministrazione repubblicana la consapevolezza, acquisita durante la pandemia, della portata della dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina. Da questo punto di vista la nuova stretta tariffaria ha senso e logicamente ci si dovrebbe aspettare che un trattamento favorevole, come quello riservato all’Europa e poc’anzi citato, venga esteso anche ad altri partner amici, tra cui Giappone, Svizzera, Singapore e India. Non è finita. Il fatto che Trump abbia scelto di concentrare la stretta sui farmaci di marca non significa che non seguiranno dazi sui farmaci generici, verosimilmente dopo le elezioni di medio termine del novembre 2026 (per evitare qualsiasi potenziale disagio per i consumatori statunitensi che potrebbe interferire con il calendario elettorale).

Ora, la domanda che è subito rimbalzata dall’altra parte dell’Oceano è: tutto questo riguarderà anche l’Europa, nonostante l’oneroso accordo chiuso con un tetto al 15% dei dazi applicati sulle merci europee? La risposta è che con ogni probabilità l’Ue verrà esentata dalle nuove barriere sui farmaci. Il che rafforza la filosofia anti-Cina alla base della decisione.

Come ha assicurato vice portavoce capo della Commissione Europea Olof Gill, “gli Stati Uniti intendono garantire tempestivamente che l’aliquota tariffaria, composta dalla tariffa della nazione più favorita e dalla tariffa imposta in base alla sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, applicata ai prodotti originari dell’Unione Europea soggetti alle misure della sezione 232 su prodotti farmaceutici, semiconduttori e legname, non superi il 15%”. Per Gill, andando oltre l’aspetto tecnico, “questo chiaro massimale tariffario onnicomprensivo del 15% per le esportazioni dell’Ue rappresenta una polizza assicurativa che non si verificheranno dazi più elevati per gli operatori economici europei”.

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