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L’America Latina è un continente che da circa cinquant’anni anticipa questi processi internazionali profondissimi. Essi si determinano in quella formazione economico-sociale particolarissima prima del loro apparire in altre formazioni economico-sociali differenziate, ma su taluni aspetti sempre più simili: la trasformazione della povertà in marginalità, la trasformazione delle città e delle metropoli da agorà sociali e politiche in spazi di segregazione sociale e di elaborazione di nuovi stili di vita delle classi alte e di dominio sociale capitalistico.

La nascita di gruppi di capitalismi estrattivi sorretti da ciò che rimane dello Stato-nazione determina questa trasformazione sociale profondissima e fa proliferare modelli di marginalità in ogni dove. Tali gruppi capitalistici estrattivi, grazie alle «tecnostrutture miste», sono incistati nei sistemi di dominio non eletti ma delegati, dove si misura la differenza di status non solo tra le classi povere e medie, ma anche tra le classi dominanti globalizzate e quelle ancora attratte dai territori, in una lotta di interessi costante e profonda che corrode le stesse cuspidi capitalistiche.

La dissoluzione dello Stato porta con sé su scala mondiale l’emergere della trasformazione dell’ordine giudiziario in potere. Tale trasformazione avvenne prima in Italia negli anni Novanta del Novecento, per l’intima debolezza istituzionale della poliarchia italica dinanzi al capitalismo estrattivo («via privatizzazione») finanziarizzato anglosassone e «renano». Lo stesso processo non s’inverò così rapidamente e per via giudiziaria in Stati capitalistici istituzionalmente più forti, come la Francia e la Germania. L’Italia anticipa il futuro dell’Europa del Sud: la sua sudamericanizzazione. Essa è oggi accentuata dal conflitto tra Usa e Cina che in questa Europa, così come in quella balcanica, pienamente si dispiega. Dal Trattato di Maastricht, del resto, la forza degli Stati francese e tedesco tenta di inverarsi estrattivamente nei confronti degli Stati dell’Ue o di ciò che ne rimane, sconvolgendo ogni ipotesi di costituzionalizzare il continente europeo, sprofondato nel dominio di fatto e non di diritto.

In America Latina il potere giudiziario come arma politica è dilagato. Non vi è più bisogno di assassinare Allende e di sterminare intere generazioni come accadde in Argentina. Certo: l’Urss è crollata, la guerra civile mondiale è terminata e quella con la Cina non è ancora iniziata. Ora i golpe sono condotti dal potere dei giudici e dalla lotta giudiziaria contro i pericolosi nemici del capitalismo estrattivo e del capitalismo finanziario. Il Sud America oggi fa scuola: non è più l’Italia a indicare il cammino della normalizzazione capitalistica.

In questo contesto la rivolta non si ferma e divampa in ogni dove. E in ogni dove si manifesta quel fenomeno che in un vecchio classico sui movimenti sociali, troppo dimenticato, si definiva «the great abortive revolution»: «… The abortive revolution has, we now know, left unsolved a very great problem indeed… it is not a movement aimed at overthrowing our government – our ‘old’ regime – and outting another in its place».

Si tratta, infatti, di rivolte in un landscape simbolico, dominato in tutto il mondo da pervasive culture che hanno in sé elementi misterici e magici, come ho ricordato all’inizio. Si tratta certamente di fenomeni molto diversi fra di loro e di cui spesso sappiamo ancora pochissimo. Basti pensare alla Cina e a gran parte dell’Asia e dell’Africa e alle culture underground della centrale dell’accumulazione capitalistica, con i suoi mondi separati e non comunicanti. La rete digitale, più che unificare, collega e diffonde e trasmette universi, immagini, luoghi onirici che accomunano culture e tradizioni diverse e mondi simbolici differenti. Tutto va ricomponendosi e di nuovo frantumandosi in un movimento infinito e non controllabile da nessuno. Sono continue scosse telluriche che aggregano e al tempo stesso disaggregano. La rivolta si nutre di quelli che un tempo avremmo identificato come i movimenti ereticali che hanno scosso i primi secoli dopo l’«anno Mille».

Penso al lascito storiografico di Delio Cantimori e di coloro che si sono succeduti sulle cattedre di Storia della Chiesa in Italia. Per tutti e su tutti Giovanni Miccoli e Arsenio Frugoni, con le loro riflessioni su Fra Dolcino e Arnaldo da Brescia magnificamente raccolte e ripresentate alla nostra riflessione da Giovanni Grado Merlo. Le parole di Miccoli, commentando in una nota bibliografica un codice ambrosiano anonimo – decisivo per l’analisi storiografica –, ci aprono alla comprensione di un mondo che oggi riappare sotto i nostri occhi e attraverso questa meditazione sul passato possiamo forse meglio comprendere analogicamente il presente:

… Il quadro – affermava Miccoli – in cui l’Anonimo ci presenta la vicenda di Dolcino prelude alla cornice magica in cui sarà visto in seguito: «Magnitudo rei, que miraculose et inexcogitate pervenit», narra il cronista e gli scontri, gli assedi, le vittorie degli eretici e le loro sconfitte sono poste sotto il regno di Dio e di Satana: ma solo questo c’è qui di tutti gli elementi fantastici che s’imporranno in seguito.

Una vicenda, quella della tradizione eresiologica del pauperismo, che, a mio parere, riappare di nuovo oggi e che andrebbe studiata con gli strumenti non solo dell’antropologia, ma altresì della sociologia religiosa e degli studi sulla magia.

La secolarizzazione non elimina il sacro: lo fa apparire nell’esperienza psichica (non solo in quella degli emarginati) sotto altre forme, forme diverse da quelle medievali ed ereticali, ma non meno pervasive.

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