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Il recupero del dialogo tra chi fa la politica e chi studia la politica è prioritario. È questa la chiave interpretativa che Nadia Urbinati, accademica e politologa, dà dell’evento “Cantiere della sinistra” organizzato dalla Fondazione Italianieuropei, fondata da Massimo D’Alema.

Il punto che Urbinati nella sua disamina mette al primo posto è il rapporto tra temporalità e concretezza. “Il centrosinistra ha la necessità di una visione ‘concreta’ che non sia esclusivamente incentrata sull’hic et nunc, bensì che si apra a una visione ampia e aperta al medio e lungo periodo”. Quel che lamenta e auspica è dunque “il legame tra la temporalità ‘vicina’ del periodo elettorale e una temporalità più ‘lontana’ che permetta di ordinare i progetti per un domani più lungo”. Quell’hic et nunc, la docente che peraltro ha partecipato all’evento, lo identifica negli anni di una legislatura.

E la disattenzione per la seconda temporalità, quella più lunga, prosegue Urbinati, ad essere “diventata un problema palpabile dalla fine dei partiti ideologici”. Nella politica del tweet, dell’immediato, vittima della frenesia dell’audience, “il populismo ha avuto grande fortuna. Banalmente, perché cavalca i temi che, in quel preciso momento storico, sono in voga”. La logica dell’audience – la democrazia del pubblico – ha preso il sopravvento rispetto al progetto e alle basi ideali che governavano i partiti. Anche a sinistra. Quella sinistra che, secondo Urbinati, specie alla luce della pandemia, “dovrebbe porsi per prima il problema di non ammettere apertamente che una parte significativa della popolazione italiana (le stime di dicono il 25%) è sotto, vicina o nella soglia di povertà”.

“Viviamo in un momento in cui si è smarrita la consapevolezza che certi principi generali se ben intesi sono a vantaggio della parte più sofferente  – prosegue veemente -. La sinistra, ma prima ancora una forza che sia democratica, non può tollerare che ci sia povertà. bensì deve promettere l’emancipazione dalla povertà”. È altrettanto vero, ammette, che la povertà non si sconfigge “attraverso il reddito di cittadinanza (che pure è importante in momenti difficili) soprattutto se intesa come carità pubblica”. Punta di diamante del programma del Movimento 5 Stelle, alleato di governo dei dem.

Nel suo intervento all’evento della Fondazione Italianieuropei, il segretario Nicola Zingaretti ha fatto chiaramente intendere  che “il Pd deve essere efficiente e dare segnali importanti”. Questo specialmente nell’ottica di fungere da argine all’avanzata populista. Proprio in questo solco, nel momento della pandemia, a detta di Urbinati il Pd “dovrebbe essere un faro. La fase emergenziale deve essere affrontata con grande determinazione consolidando lo spirito di comunità. Per questo occorre recuperare un linguaggio e ideali politici ben precisi”. Qui entra in gioco anche la paventata ipotesi di introdurre una tassa “patrimoniale”.

“È un termine che non sopporto – dice la politologa – semplicemente si tratta di attenersi al dettato costituzionale che prevede la progressione sulla tassazione. Che venga rispettato questo principio che abbiamo riconquistato dopo l’era dei regimi totalitari”. Con un pizzico di ammirazione e nostalgia Urbinati arriva a dire che il Pd dovrebbe ispirarsi, su questo punto “al grande Ugo La Malfa”, un liberale che propose politiche fiscali coerenti al principio progressivo. Dopo tanti decenni, ripensare a quel che fecero leader che appartennero al Partito d’Azione è quasi rivoluzionario.

La tassazione sul patrimonio però non deve configurarsi come “uno scontro fra ricchi e poveri. Ma come un principio di giustizia a cui tutti i cittadini concorrono”. La partita è nelle mani dell’esecutivo sul quale, in termini di gestione della pandemia, Urbinati ha maturato un’opinione differente che coincide con i tre periodi nei quali il virus si è ripresentato. Il primo, da febbraio a maggio, l’estate e la seconda ondata. “Per la prima parte di emergenza pandemica – analizza – l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte ha avuto un comportamento davvero esemplare, coraggioso. L’estate è stato un susseguirsi di allegra gestione di liberi tutti, soprattutto da parte dei governi regionali, mentre ora stiamo assistendo al vero problema del sistema istituzionale italiano: il conflitto tra lo Stato e le Regioni”.

Ed ecco che su questo ultimo punto, si allunga l’ombra della riforma del Titolo V, tanto cara ai grillini. Ma, anche per questo, Urbinati ha una risposta che non lascia spazio a interpretazioni. “Affinché il Titolo V funzionasse, occorreva una legge quadro che regolasse le materie di competenza concorrente fra lo Stato e le Regioni. Oggi paghiamo lo scotto di questa mancanza, osservando governatori che vorrebbero aprire a tutti i costi, beneficiando del consenso che ne deriverebbe e uno Stato costretto a prendere provvedimenti restrittivi”.

Un po’ a logica del poliziotto buono e di gendarme cattivo. Il vulnus del governo, però, “è la gestione del Recovery Fund che Conte ha deciso di affrontare costituendo un specie di organo tecnocratico, che comprende peraltro manager aziendali, nel solco, pare. di una genuflessione al neoliberismo. Il rischio è che vada a profilarsi una forma dirigistica di governo democratico”.

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