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Tre e anni e mezzo: la corte russa conferma la condanna al carcere – per “violazione sistematica” della libertà vigilata – contro Alexei Navalny, leader della lotta alla corruzione in Russia, avvelenato in agosto, arrestato appena rientrato a Mosca due settimane fa, diventato ancora di più simbolo delle dinamiche con cui si regge il potere putiniano e dell’esasperazione di una parte dei russi davanti al doppio decennio di putinismo. “Sono sopravvissuto grazie a brave persone: piloti e medici. Poi ho causato un’offesa ancora più grave: non mi sono nascosto. E poi è successa la cosa peggiore in assoluto: ho partecipato all’indagine sul mio stesso avvelenamento. E abbiamo dimostrato che è stato Putin a commettere l’attentato e questo lo fa impazzire“, ha detto in aula.

Navalny ha parlato davanti a rappresentanti diplomatici di Repubblica Ceca, Austria, Lituania, Norvegia, Svezia, Paesi Bassi, Stati Uniti, Canada, Germania, Svizzera, Gran Bretagna, Lettonia, Polonia nonché funzionari dell’Ue, che hanno assistito al processo di conferma della condanna. Vladimir Putin “passerà alla storia proprio come un avvelenatore. Sapete – ha detto Navalny – c’era Alessandro il Liberatore o Yaroslav il Saggio. E avremo Vladimir l’Avvelenatore di mutande” (l’agente nervino che ha quasi ucciso Navalny era stato messo nella sua biancheria intima, ndr). Un paragone che avrà fatto avvelenare l’animo del presidente russo che basa parte della sua narrazione su un ritorno alla storia che dovrebbe – e in parte lo ha fatto in passato e ancora lo fa – infiammare gli animi dei concittadini e spostarne il consenso.

Ci sono stati oltre duecento arresti tra i sostenitori arrivati attorno al tribunale. Molti – riporta Proekt, uno dei siti indipendenti che creano pruriti al Cremlino – sono stati bloccati nei pressi della fermata della metro “Preobrazhenskaya Ploshad”, la più vicina all’aula. Anche questa è narrazione: il fermo preventivo serve a evitare che circolino immagini di una folla pro-Navalny fuori dal tribunale di Mosca. Il racconto di cosa sta accadendo è tutto, anche perché chi manifesta in questo momento lo fa con la consapevolezza di rischiare il fermo dalla polizia (formalmente le manifestazioni non sono autorizzate causa restrizioni Covid) e soprattutto non lo fa tanto perché crede in Navalny, ma in quanto identifica l’attivista come vettore dell’anti-putinismo.

Putin non può più fingere di sottovalutare quello che sta succedendo come quando si rifiuta – per sminuirlo – di chiamare Navalny per nome (di solito lo indica con “il blogger” oppure con “il paziente di Berlino”, dove è stato curato da un avvelenamento da Novichok probabilmente iniettatogli in una killing mission fallita organizzata dall’Fsb, l’intelligence interna). Anche perché la vicenda ha spostato l’attenzione di mezzo mondo. Se l’Alto rappresentante europeo Josep Borrel rivela di essere in contatto con il team dell’attivista per un incontro, a Mosca “se ve ne sarà la possibilità”, lo scontro aperto è con gli Stati Uniti della nuova amministrazione Biden.

“Il governo russo – ha detto in un’intervista a NBC il segretario di Stato statunitense, Anthony Blinken – fa un grande errore se crede che questo riguardi noi. Riguarda loro, il governo, la frustrazione del popolo russo verso la corruzione, l’autocrazia”. Un’uscita che ha prodotto la reazione da Mosca: prima il portavoce del Cremlino ha difeso le attività della polizia e detto che la Russia “non accetta lezioni” dagli Usa; poi l’ex premier e presidente (ora declassato a vice Consigliere per la sicurezza), Dmitri Medvedev, ha tuonato: “Navalny è una canaglia che impiega tattiche sconsiderate per arrivare al potere, con tecniche sempre più ciniche”.

La dichiarazione di Medvedev – che da tempo non parlava pubblicamente di faccende centrali – è da inserirsi anche questa nel solco della narrazione. Il Cremlino sta cercando di dipingere Navalny come una sorta di agente (“canaglia”) di destabilizzazione, per altro etero-diretto dall’esterno. Lunedì, RT (un media finanziato dal Cremlino) ha pubblicato un filmato in cui il presidente dell’associazione FBK creata dall’attivista è seduto al tavolo insieme a un funzionario dell’ambasciata russa. Le immagini sono del 2010 e riprese dall’Fsb. L’uomo di Navalny “cerca denaro e informazioni”, dice RT, e le chiede all’allora vicesegretario per gli affari politici dell’ambasciatore a Mosca, James William Thomas Ford. Ford, secondo quanto rivela RT, è sospettato dal controspionaggio russo di essere un uomo dell’Mi6 (l’intelligence esterna inglese).

Non è chiaro quanto le informazioni svelate dalla rete russa siano vere – già in altre occasioni ha diffuso notizie alterate – ma è chiaro che si inquadrano nella narrazione del Cremlino. Che Navalny abbia contatti con funzionari dei governi occidentali è del tutto possibile, ma che sia eterodiretto da qualcuno – che sia Londra o la Cia, come finora ha dichiarato il governo russo – serve a Putin. Per proteggersi. Per giustificare azioni durissime nei suoi confronti. Per spingere la contro-narrazione attorno all’oppositore – raccontato non come un attivista per i diritti ma una spia. Per indottrinare il popolo sulle azioni del nemico (l’Occidente). Per avvisare chiunque voglia emularlo.

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