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Un hub del pensiero strategico, aperto all’esterno, che permetta alla Difesa e al Paese di sviluppare intelligenza collettiva per affrontare meglio un futuro incerto e denso di sfide. È così che il generale Fernando Giancotti, presidente del Centro alti studi per la Difesa (Casd), spiega a Formiche.net la riconfigurazione in “Scuola superiore ad ordinamento speciale della Difesa” (Ssosd), presentata mercoledì durante l’inaugurazione dell’anno accademico 2020-2021.

Generale, i giornalisti amano i titoli concisi, e anche noi abbiamo scritto di una “Università della Difesa”. È un’espressione corretta?

Non la chiamerei così, perché l’espressione non coglie a mio avviso l’essenza dell’operazione. Un’Università presenta un’offerta formativa ampia e differenziata. Una Scuola superiore può invece connotarsi in maniera più specifica, che è la scelta che ha fatto la Difesa, una scelta strategica, mirata a sposare il terzo livello della formazione universitaria.

Ci spieghi meglio.

Abbiamo già una formazione universitaria soddisfacente grazie alle convenzioni con le Università e ai master che realizziamo in collaborazione. Con la Scuola di dottorato, che non sarà differenziata rispetto al Casd, vogliamo esplorare in profondità temi innovativi, aree dove si produce la ricerca più avanzata. Ciò alimenta altre funzionalità, in linea con la terza missione dell’Università, quella legata alla responsabilità sociale. Dopo tre anni, terminato il periodo sperimentale, saremo valutati sulle esternalità positive e costruttive che avremmo generato sul sistema-Paese tramite attività di alta formazione, ricerca e consulenza per il ministero della Difesa, ma aperte alla comunità nazionale.

A proposito di “sistema”, la stessa riconfigurazione del Casd è frutto di un lavoro che sin da un paio d’anni si preannunciava sistemico. Ha funzionato?

Sì, molto bene. Ho ormai imparato che è sempre immanente nei sistemi umani una grande carenza di approccio sistemico, che io chiamo anche “approccio strategico”, inteso come prodotto del pensiero critico, sistemico e creativo. Laddove si riesce a sviluppare questo approccio, trovando il mondo di collegare i vari elementi, allora si riesce a far emergere valore. Ogni volta che tale approccio funziona, la prestazione va alle stelle. Purtroppo, tuttavia, questo non è il processo abituale delle nostre organizzazioni.

Il generale Vecciarelli ha fatto riferimento all’esigenza di una formazione che consenta di avere conoscenza maggiore di scenari operativi in profonda e continua evoluzione. C’è anche questo alla base della riconfigurazione del Casd?

Assolutamente sì. È la logica che sottende un’operazione portata avanti finora con grande successo, sia per i risultati, sia per la motivazione: coinvolgere nei processi decisionali il capitale intellettuale che ogni anno ci viene affidato. Circa 220 dirigenti delle Forze armate vengono selezionati e lavorano con noi ogni anno. È un enorme capitale intellettuale che vogliamo portare come intelligenza collettiva. Lo abbiamo fatto l’anno scorso, con grande soddisfazione, attraverso i contributi di gruppi misti di frequentatori di Iasd e Issmi al Concetto strategico del capo di Stato maggiore della Difesa. Lo rifaremo quest’anno, e non solo al nostro interno, considerando che la visione è di essere un hub di pensiero che si collega ad altri hub, percorrendo l’approccio sistemico di cui parlavamo poco fa.

Con quale obiettivo?

L’obiettivo è creare una comunità di pensiero. C’è bisogno di riferimenti aggregativi che non siano gerarchicamente ordinati, ma che percorrano dinamiche sistemiche. Su questo la risposta è già superiore alle aspettative. Per la call for papers che abbiamo rivolto a luglio alla comunità del pensiero nazionale sono arrivare 88 risposte.

Il ministro Guerini ha invitato il Casd a contribuire al rilancio della cultura della Difesa. C’è un gap nel Paese su questo?

Certamente sì. Per una serie di motivi storici e culturali. Ci sono però anche elementi positivi, a partire dalla predisposizione generale del Paese verso la Difesa. Io sono convinto che occorra comunicare di più. C’è una sintesi che ormai ho imparato a ripetere: nei sistemi complessi la comunicazione non è mai abbastanza. Anche su questo possiamo dare il nostro contributo, come comunicatori al livello strategico, ma anche come studiosi di strategie di comunicazione. Quando la Difesa esce e si confronta nell’ambiente accademico, ha dei ritorni estremamente positivi. C’è un generale e forte apprezzamento per le Forze armate nel loro complesso, e questo è un ulteriore motivo per comunicare ancora di più intercettando soprattutto opinion maker che possano essere rilevanti per diversi settori.

Torniamo alla Scuola: i corsi di dottorato saranno aperti anche a civili esterni alla Difesa?

Stiamo definendo il progetto proprio in questi giorni. Il concetto di fondo è che la Difesa ha bisogno di pensiero profondo di frontiera, e noi dobbiamo presidiare questa missione. Non è detto però che tale missione la debbano produrre tutti militari. E dunque certamente un’aliquota di dottorati in house sarà aperta all’esterno. In ogni caso, tutta l’esigenza non dovrà essere esaurita dalla Scuola. Secondo il concetto di hub potremmo infatti promuovere progetti di dottorato in altri istituti collegati con i nostri, o magari dottorati interdisciplinari. Puntiamo a essere un hub piccolo, ma con grande potenziale oltre i nostri confini.

Vuole aggiungere qualcosa?

Sì. Vorrei solo sottolineare che ho trovato sorprendente l’entusiasmo di attori che non hanno interessi diretti in questa nostra impresa. “Sorprendente” è la parola che definisce meglio la mia percezione. Non mi aspettavo che tanta gente, di tanti comparti, riconoscesse il valore di sistema dell’iniziativa e la volesse supportare così generosamente. Lo stiamo vedendo con il Comitato ordinatore, composto da persone di grandissimo livello che stanno spendendo con entusiasmo il loro tempo su questo. Mi fa ben sperare per un’iniziativa che dimostra, lo ripeto, di avere grande potenziale per lo sviluppo di nuove ed efficaci strategie nazionali.

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