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Quando nel 2014 il governo Renzi decise di aprire il capitale di Cdp Reti alla State Grid Corporation of China, l’operazione venne raccontata come un passaggio tecnico: un semplice aumento della capacità di investimento della Cassa, un segnale della nuova Italia che voleva attrarre capitali globali. Il dibattito pubblico non colse il punto essenziale, e cioè che quella decisione riguardava gli snodi vitali delle reti energetiche italiane.

A segnalare per primi – e quasi in solitudine – la natura strategica dell’operazione fu proprio Formiche.net. Con articoli, analisi, interventi e persino schermaglie sui social, il sito anticipò una serie di questioni che allora sembravano marginali e che oggi sono diventate il cuore della politica industriale e della sicurezza nazionale.

Dieci anni dopo, rileggere quell’archivio significa riconoscere che gli allarmi c’erano, erano chiari, e non furono ascoltati.

IL CASO SNAM E QUELL’ESTATE DEL 2014

Un fatto, di pochi giorni fa, riporta infatti l’Italia e i suoi palazzi a quegli anni. Poco meno di due settimane fa succedeva che Snam, una delle realtà industriali più dinamiche del Paese, vera e propria eccellenza nell’infrastruttura del gas, ha rinunciato all’acquisto del 25% della cugina tedesca Open Grid Europe, colosso da dodicimila chilometri di rete, da Infinity Investments, veicolo di investimento interamente posseduto dall’Abu Dhabi Investment Authority.

La trattativa, ha raccontato La Stampa, andava avanti da mesi e valeva quasi un miliardo di euro. Ad aprile i vertici di Snam erano ottimisti, ma a settembre il ceo di Snam Agostino Scornajenchi, fiuta aria di ostruzionismo da parte delle autorità tedesche. Non aveva tutti i torti, in una nota Snam rinuncia all’acquisizione. Perché? Problemi di prezzo? Non proprio. A Berlino sono contrari all’ingresso di Snam in Open Grid, azienda al centro delle infrastrutture del gas in Europa grazie a 17 interconnessioni con sette Paesi confinanti, tra cui quelle con Belgio e Svizzera, per via della presenza nell’azienda italiana di un azionista cinese. Di quelli pesanti, State Grid. Berlino considera con ogni probabilità Open Grid strategica e un investitore con dentro un socio cinese può risultare sgradito.

Flashback. Il 31 luglio del 2014, nella sala dei Galeoni di Palazzo Chigi l’allora premier Matteo Renzi, il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan e i vertici di Cassa depositi e prestiti firmano con State Grid of China l’accordo per l’acquisto da parte di Pechino del 35% delle quote di Cdp reti, la holding che controlla le tre principali società di trasporto dell’energia italiane: Snam (31%), Terna (29%), Italgas (26%). Morale, per 2,1 miliardi i cinesi diventano soci rilevanti e in un colpo solo, di tre asset strategici del Paese, tra cui proprio Snam. Tanto che oggi, essendo con due piedi dentro la società a monte della catena di comando, Cdp reti, State Grid può contare sulla presenza di un consigliere di amministrazione in ciascuna delle tre società.

LA VERITÁ DI FORMICHE

Da quella data, comincia una storia fatta di verità e di mezze verità, dove una apparentemente innocua operazione di M&A in realtà nascondeva un rischio per le infrastrutture strategiche del Paese. Un rischio che oggi riesplode in tutta la sua evidenza, tanto da spingere il governo di Giorgia Meloni a studiare contromisure (c’è chi ipotizza una fusione fra Snam e Terna per diluire la presenza azionaria dei cinesi). Tutto, puntualmente e costantemente, raccontato e documentato da Formiche.net.

ANATOMIA DI UN ERRORE

Il 28 gennaio 2014, tanto per cominciare, Formiche pubblicò uno dei pezzi più citati della vicenda: l’articolo spiegava che l’interesse di State Grid non era quello di un investitore finanziario, ma quello di una “grande potenza infrastrutturale” che operava con linee strategiche definite da Pechino. Era un avvertimento preciso, State Grid non entra mai per caso. Sempre nei primi mesi del 2014, Lorenzo Galietti firmò un’analisi (“Cdp Reti tra cinesi e fondazioni bancarie”) in cui mostrava come l’operazione italiana si inserisse in una più ampia strategia di Pechino sulle reti europee. Poi ci fu il clamoroso vulnus del Golden power. Due anni prima dell’operazione con State Grid, aveva visto la luce la normativa sul Golden power con tanto, qualche mese dopo, di decreti attuativi che, una volta firmati, avrebbero reso operativi e fruibili i poteri speciali del governo. Peccato che Renzi sì firmò i provvedimenti citati, incluso quello sulle infrastrutture critiche, ma lo fece a valle dell’operazione con State Grid. Quando, cioè, i buoi erano già entrati nella stalla.

Insomma, l’Italia non disponeva ancora di un Golden power realmente operativo. Il pezzo del 1° agosto 2014, metteva in fila punto per punto le criticità: rileggendolo oggi, sembra scritto con dieci anni di anticipo sul dibattito attuale. La fase più tesa della vicenda fu il confronto pubblico, e molto diretto, tra Franco Bassanini, allora presidente di Cdp e i giornalisti di Formiche su Twitter. Questo giornale raccolse e documentò tutto in un articolo dal titolo eloquente: Bassanini (Cdp) non fa lo gnorri sui cinesi in Snam e Terna. I tweet, che oggi rileggiamo come materiale d’archivio prezioso, raccontano un clima nervoso. Bassanini difendeva l’operazione come “finanziaria, non geopolitica”. La redazione ribatteva su un punto semplice: quando compare un’impresa statale cinese, la geopolitica entra per definizione.

Il 28 agosto 2014 un altro articolo segnò il dibattito, per mezzo della voce dell’economista Alessandro De Nicola, voce liberale e molto lontana dal sovranismo. E che criticò l’operazione proprio sul terreno dell’efficienza di mercato e della tutela degli asset strategici: un segnale che la questione non riguardava solo la sicurezza nazionale, ma la logica stessa della buona governance economica. Non è finita. La cronistoria della verità si arricchì di un articolo destinato a fare scuola Grillo e i grillini interrogano Renzi sui cinesi in Cdp Reti citando Formiche.net. La redazione ne documentò ogni passaggio: Formiche non solo raccontava il caso, ma contribuiva direttamente ad aprire un dibattito parlamentare. Un fatto raro, soprattutto per una vicenda presentata dall’esecutivo come tecnica. Negli anni successivi, vari articoli di Formiche hanno ripreso quella storia come primo caso italiano di ingenuità strategica nel rapporto con la Cina. Il filo rosso è sempre lo stesso: nel 2014 questo giornale fu un caso di studio internazionale su come non gestire un investimento strategico cinese.

TRA AUTOCRITICA E REVISIONISMO

E si torna ai giorni nostri, partendo con una domanda: perché parlarne proprio adesso? Perché la vicenda Cdp reti non è solo una pagina di cronaca industriale: è un test nazionale di consapevolezza strategica. L’Italia entrò in quell’operazione con strumenti di protezione incompleti, una cultura amministrativa non ancora sensibile alla minaccia sistemica cinese, un’idea troppo finanziaria delle infrastrutture critiche e una politica convinta che la modernizzazione passasse per la massima apertura, non per la selettività. Formiche lo aveva scritto, articolo dopo articolo. Nulla accadde. Oggi, mentre l’Italia e l’Europa rivedono la propria postura verso la Cina, il caso Cdp reti appare non come un errore isolato, ma come una falla sistemica.

È una vicenda che merita di essere riletta con rigore, senza ideologia, ma anche senza rimozioni. E forse è arrivato il momento di chiedersi se il Parlamento non debba ricostruire con strumenti adeguati ciò che allora non fu chiarito: come avvenne davvero quell’ingresso cinese, quali furono le vulnerabilità sfruttate e quali conseguenze ha avuto sulla sicurezza nazionale. Perché questa volta, a differenza del 2014, nessuno potrà dire di non essere stato avvertito.

Cinesi in Cdp Reti? Tutti gli allarmi di Formiche non ascoltati

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