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Nel 1998 Carlo Maria Santoro, uno dei padri delle relazioni internazionali in Italia, scriveva “Occidente, identità dell’Europa”. Sosteneva che l’unificazione europea fosse un grande disegno politico-istituzionale costruito a tavolino e che procedeva nella sua marcia evoluzionistica e lineare senza interrogarsi davvero sulla sua fattibilità. Eppure, l’Europa, per costituirsi in unità federale – diceva Santoro – dovrà acquisire, pena il fallimento, un’identità che non sia solo istituzionale, mercantile o monetaria. Dovrà anzitutto impadronirsi del “cuore della sovranità” (esteri e Difesa), e in particolare di un corpo di valori storici, culturali e simbolici, riconoscibili e condivisi.

Per ottenere questo risultato, l’Europa avrebbe dovuto procedere alla definizione del suo spazio geopolitico, distinguendosi, per differenza, dalla “non-Europa”. Diventa quindi di capitale importanza la questione delle frontiere, perché proprio attraverso l’identificazione dei suoi confini l’Europa potrà diventare una “nazione federale”. Insomma, il saggio di Santoro affrontava il tema dell’identità “per differenza”, individuando la chiave di volta dell’Europa possibile nel concetto di occidente, la cui matrice è tutta europea, contrapposto al concetto di oriente, ma anche a quello di atlantide, l’occidente americano. Si potrebbe dire oggi che la conquista dell’identità dell’Europa passi quindi dalla relazione con Putin e Trump.

Per oltre settant’anni, l’Europa – e la sua forma politica più evidente, la Ue – è proliferata in un mondo occidentale in espansione o non minacciato. Ma la crescita delle potenze non occidentali, prima fra tutte la Cina; il revanscismo russo e l’invasione dell’Ucraina; e, infine, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, sembrano minacciare i valori europei e occidentali. Gli Stati Uniti hanno rappresentato il pilastro su cui si è retto l’ordine liberale internazionale a lungo e l’identità europea deve molto anche al tentativo americano di irrobustire il fianco europeo dell’occidente.

Ma ora Trump ha segnato non solo una accelerazione del disimpegno dagli affari europei ma anche una nuova diffidenza verso le istituzioni multilaterali e verso la Ue stessa, ritenuta dall’America “profonda” che Trump e Vance vorrebbero rappresentare, come una distorsione e una deviazione eccessiva dagli interessi americani, sino a volerla contrastare con barriere tariffarie o supportando politicamente all’interno dei Paesi europei quelle forze che vengono percepite come ideologicamente più affini. Trump per certi versi sta quindi obbligando non solo gli europei a percepire un nuovo confine politico nell’Atlantico, ma sta anche lasciando campo libero nella difesa di alcuni valori, per l’appunto “occidentali”. Una politica americana che rinuncia a difendere i valori permette agli europei di consolidare un Geist, insomma, uno spirito condiviso dell’Europa, come sosteneva Santoro, di cui gli europei si sentano parte integrante, un corpo di valori occidentali di cui essere portatori, in un mondo sempre più transazionale e a-valoriale.

La dipendenza energetica dalla Russia e la subordinazione tecnologica e militare agli Stati Uniti hanno dimostrato i limiti di un’Europa che si è adagiata troppo a lungo sulla protezione altrui e che ora deve rigenerare il proprio status. Santoro ci ricorda che l’occidente è prima di tutto un’identità culturale e politica, non un’entità statica. Se l’Europa vuole essere la sua principale custode, deve accettare la sfida della leadership, non come semplice partner subalterno degli Stati Uniti, ma come attore autonomo in grado di promuovere e difendere i valori che hanno reso grande la sua civiltà. La crisi attuale può essere l’occasione per una rinascita europea, non solo come spazio economico, ma come progetto politico capace di dare un nuovo significato all’idea stessa di occidente.

Formiche 212

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La buona contrattazione è il sale di un lavoro di qualità e ben retribuito. Contro gli infortuni sul posto occorre un approccio più sostanziale e meno burocratico. Il salario minimo? Parliamo della riqualificazione dei lavoratori. Intervista a Maurizio Sacconi, già ministro del Lavoro

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