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Di fronte alle drammatiche immagini che giungevano ieri da Washington, ho avuto la sensazione di assistere ai titoli di coda di un film di cui avevo visto l’inizio il 19 gennaio 2016, giorno dell’insediamento di Donald Trump.

Ero presente a quell’evento, quando il nuovo presidente, anziché cercare di riunificare un popolo provato da una dura competizione elettorale, aveva esasperato le divisioni, allargando il solco tra classi e schieramenti e facendo di questo la cifra, anche comunicativa, della propria presidenza.

Quattro anni di  tweet presidenziali hanno avuto come esito estremo gli incredibili incidenti, culminati con l’assalto a Capitol Hill e con la morte di una persona. Una analisi vera e propria dell’accaduto è impossibile a caldo, tuttavia qualche riflessione è d’obbligo.

Il fallimento del sistema di sicurezza

Trump, da presidente, non ha fatto solo cose negative, ma ha sprecato anche le cose buone quando ha perso il controllo di sé di fronte a una debacle elettorale annunciata. Questa deriva aveva creato un clima di tensioni che in qualche modo avrebbe dovuto suggerire il rischio di possibili degenerazioni. È sorprendente che questa evenienza non sia stata considerata dagli esperti di sicurezza, dalla Cia, dal Pentagono.

Aver collocato la data della votazione del Congresso di ratifica della vittoria di Biden all’indomani dei cruciali ballottaggi in Georgia si è rivelata una scelta sciagurata, che si poteva forse evitare sapendo che essa avrebbe inasprito ulteriormente gli animi, qualunque ne fosse l’esito.

Le forze di sicurezza sono apparse stranamente impreparate ad affrontare una situazione che non sarebbe stato impossibile prevenire e fermare. Quanto accaduto è talmente inverosimile da apparire spiegabile solo in due modi ugualmente inquietanti: connivenze ai vertici delle istituzioni di sicurezza o incapacità e impreparazione.

La colpa è tutta di Trump?

Gli eccessi e i difetti del tycoon erano noti già da prima della sua elezione. I suoi comportamenti hanno spesso imbarazzato molti dei repubblicani, la gran parte dei quali, tuttavia, ha preferito accettare supinamente la deriva sovranista-populista imposta dal leader.

Trump ha distrutto il partito repubblicano, ma di questa distruzione sono corresponsabili i comportamenti pavidi di moltissimi rappresentanti politici. Se ci fossero stati più uomini come Mitt Romney, uno dei pochi capaci di opporsi a Trump all’interno del Gop, forse si sarebbe posto un argine ad un fenomeno rivelatosi devastante.

Cosa accadrà ora?

Gli Usa hanno due settimane per creare condizioni almeno minimamente accettabili per la cerimonia di insediamento di Joe Biden. Vedremo nei prossimi giorni se ci riusciranno o se dovranno addirittura rinunciare ad un evento il cui significato va oltre quello di una semplice ritualità.

Sarebbe comunque un grave errore pensare che gli eccessi del trumpismo finiscano con la fine di Trump. Il processo di riconciliazione nazionale rappresenta la sfida più difficile che attende il neo Presidente. Essa richiederà tempo e fatica, e il suo esito è tutt’altro che scontato.

Le conseguenze geopolitiche e il nostro compito

Il mondo democratico osserva sgomento quanto accade negli Usa, le cui istituzioni escono delegittimate, se non ridicolizzate dai fatti di Washington. Il crollo dell’immagine americana porta con sé un inquietante interrogativo: se questi fatti accadono nella culla della democrazia, con quale credibilità ci si potrà opporre alle violenze che caratterizzano i tanti regimi illiberali sparsi nel mondo? Intanto Pechino e Mosca, insieme a tutti i leader  totalitari, se la ridono certamente.

Se non ci sarà una rapida e solida ripresa della credibilità del sistema democratico degli Usa,  assisteremo ad un inevitabile rafforzamento dei regimi antidemocratici, con inevitabili conseguenze politiche ed economiche, potenzialmente catastrofiche per l’intero occidente.

In questo momento di grave crisi, spetta all’Unione Europea il compito storico di diventare il baluardo estremo di difesa della democrazia.

Una sfida che, fino a pochi mesi fa, sarebbe stato una mission impossible ma che oggi, dopo la sterzata culturale e politica seguita alla pandemia, il vecchio continente può vincere. Chiamando a raccolta tutti, anche i leader che non hanno mai nascosto le proprie simpatie per Trump ma che, contrariamente a lui, hanno sempre accettato le regole della democrazia.

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