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Certo, la capacità che ha Matteo Renzi di stare al centro dell’attenzione pubblica e dei giochi politici di palazzo è innegabile. Apparentemente, il leader di Italia Viva è in un cul de sac, con le mani legate, da diversi mesi. Apparentemente, nessuno come lui, con un Partito che non decolla né nei sondaggi né nelle prove elettorali, e con una rappresentanza parlamentare sovradimensionata che gli permette di stare al governo e nei gangli del potere, dovrebbe tenersi molto cara questa legislatura. Apparentemente. In verità, l’uomo è ambizioso e in più, a torto e a ragione, crede di essere il migliore. Per natura, in un posto vuole starci da leader. Tanto più che il leader massimo, colui che (anche e soprattutto grazie a lui) è ora il capo dell’esecutivo, è potenzialmente il suo avversario diretto in quell’area moderata e progressista, riformista e centrista, che si pensa possa tornare presto ad essere il baricentro della politica nazionale. Come è ritornato ad esserlo nel centro dell’Impero, in quell’America di Joe Biden a cui Renzi si sente molto vicino.

E se Giuseppe Conte ha bisogno di tempo per costruirsi il “suo” partito, e molta parte delle sue azioni presenti vanno lette, secondo i beni informati, in quest’ottica; di tempo Renzi, che pure un suo partitino ce l’ha già, ne ha bisogno ancor più per dare corpo e sostanza ai suoi progetti e alle sue ambizioni. La logica gli impone perciò di muoversi lungo un sentiero stretto e difficile: cercare di ridimensionare, meglio ancora se fosse possibile disarcionare, Conte; e, nello stesso tempo, mantenere in piedi la legislatura fino alla sua fine naturale.

Il sentiero è stretto e difficile ma non impossibile, nonostante che in molti, dichiarino, in sintonia con le voci che arrivano dal Colle più alto, che, se il governo cadesse, si andrebbe diritti al voto. Quel voto che quasi sicuramente significherebbe per i partiti della maggioranza perdere il potere, e per molti deputati lo scranno. Dichiarazioni e voci che perciò, in fondo, non vanno prese troppo sul serio. D’altronde, lo stesso capo dello Stato, per Costituzione, sarebbe tenuto a verificare l’esistenza di una maggioranza in Parlamento prima di sciogliere le camere.

Il fatto è che Renzi, da gran giocatore d’azzardo qual è, ha deciso di puntare le sue carte sul Pd e gli altri alleati di governo, capendo che questo (con il Ricovery Plan da dar passare e i soldi in arrivo) era il momento giusto per far venire allo scoperto e rendere politicamente spendibili i maldipancia e i malumori diffusi su un cesarismo sempre più evidente del premier. Il fatto che ora Renzi si stia prendendo altro tempo, dimostra che forse egli ririene che qualche spazio per questa “spallata” ci sia ancora. Non sappiamo come andrà a finire, ma una cosa è certa sin d’ora: se anche Conte resta al timone, come è molto probabile, ne uscirà comunque ridimensionato. E questa è comunque una buona notizia per chi ha creduto che in questi mesi, fra creazione di organi di potere extraistituzionali ed estromissioni del Parlamento da decisioni importanti, si sia andati già troppo oltre il segno verso quei “pieni poteri” che una epidemia seria giustifica in democrazia.

D’altronde, in democrazia spesso, o quasi sempre, l’interesse generale, in questo caso quello di un corretto funzionamento delle istituzioni, si realizza solo quando converge con quello particolare. Renzi sarà pure un “diavolo”, e politicamente per molti lo è, ma, per chi guarda certe vicende in un’ottica metapolitica o di interesse generale, spesso il “diavolo” non è che l’uomo d’affari del buon Dio.

L’azzardo di Renzi e il Conte dimezzato. La bussola di Ocone

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