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Scordatevi la democrazia liberale, il parlamentarismo, la responsabilità politica. L’Italia al tempo del Recovery Fund e del Covid-19 sta lentamente assumendo le sembianze di una tecnocrazia. Task force, commissari, economisti e ingegneri, una stuola di tecnici si scalda per mettere le mani sul timone della ripresa e dei miliardi di euro in arrivo da Bruxelles. Eppure, spiega a Formiche.net Lorenzo Castellani, docente di Storia delle istituzioni politiche alla Luiss Guido Carli, in libreria con il saggio “L’ingranaggio del potere” (Liberilibri), l’ordine dovrebbe essere inverso. È il momento della politica, della mediazione con i partiti, della pianificazione prima ancora della gestione. Per questo non ha tutti i torti Andrea Orlando quando dice che il premier Giuseppe Conte “avrebbe bisogno di uno come Gianni Letta”. Di un consigliere cioè che spezzi l’incanto della torre d’Avorio a Palazzo Chigi, e magari lo metta al riparo dai giavellotti della sua stessa maggioranza.

Castellani, a Conte servirebbe un Gianni Letta?

Questo è sicuro. Gli servirebbe un Gianni Letta perché in un sistema parlamentare non puoi prescindere dal rapporto con i partiti, tendono sempre a toglierti il trono. In Italia il grande leader non viene tollerato a lungo, anche se ha un’emanazione democratica. A Conte servirebbe un regista, altro che task force.

Che tipo di regista?

Non un commissario onnipresente, ma un regista politico, che tenga i rapporti con i partiti e lo metta al riparo dal fuoco amico. Un Richelieu un po’ più esperto di Casalino non gli farebbe male. L’inerzia può portarlo all’isolamento. Conte deve ricordare che i partiti verso il premier sono come i soci verso l’amministratore delegato: se si accordano, lo possono mettere alla porta.

L’isolamento è già iniziato?

Il premier si è fatto un po’ prendere la mano dall’eccezionalità che gli ha garantito la pandemia. Se durante la prima ondata tutti i partiti, chi più chi meno, hanno riconosciuto al premier un grande potere decisionale, in questa seconda fase il sistema inizia a mostrare delle crepe. E con i fondi del Next generation Eu non faranno che aumentare. Non vorranno concedergli la stessa centralità.

Perché proprio ora la politica si vuole riprendere i suoi spazi?

Siamo in una fase molto “primo-repubblicana”. Abbiamo superato l’anomalia Cinque Stelle, con un Movimento che è diventato a tutti gli effetti un partito. Tutte le forze di maggioranza non brillano nei sondaggi. E quelle più piccole, da Iv a M5S, hanno tutto l’interesse a guadagnarsi uno spazio nella fase della ripartenza, a tenere il pallino in mano su dossier strategici, dall’intelligence alle nomine nelle società partecipate fino alle politiche pubbliche. Viviamo un momento di reflusso dello Stato. I partiti pretendono di essere consultati, vogliono i loro uomini all’interno di queste operazioni e non solo l’entourage di Conte.

Quindi che si fa? Un’altra task force?

Servirebbe una cabina di regia politica. Conte si trova di fronte a un bivio: affidare gestione, pianificazione e monitoraggio delle politiche pubbliche a task force, manager, comitati tecnici che rappresentano i propri interessi, o esercitare un controllo politico più forte, anche qui con un consigliere che faccia da mediatore fra i partiti. La tecnocrazia italiana di solito funziona al contrario di come dovrebbe essere: si scarica tutto sui tecnici nella fase di scelta, che invece dovrebbe spettare alla politica, e vengono ignorati nel processo di attuazione, quando devono essere create le delivery units.

Conte è politicamente apolide?

Temo di sì. Tutti i rumors sul “partito di Conte” che furoreggiavano sei mesi fa ora sono rientrati. In questa fase il premier è percepito come una figura super partes, non ha una casa politica, né un disegno preciso se non quello di traghettare questo governo fino alla fine della legislatura. Il Pd, che pure aveva scelto di coprirgli le spalle un anno fa, ha invertito la rotta.

Si va verso un Conte ter?

Un riequilibrio all’interno della maggioranza è già in corso, il Pd incasserà il dividendo maggiore. Ben altra cosa è invece un rimpasto. In piena emergenza, con il sospetto che sibila fra le forze della coalizione, è un’ipotesi remota.

A proposito di tecnici, ogni tanto si staglia su Palazzo Chigi l’ombra di Mario Draghi. Ma all’ex presidente della Bce conviene fare un passo del genere?

Difficile che avvenga, non ci sono le condizioni. Non solo perché è improbabile un cambio della guardia a Palazzo Chigi, ma anche perché Draghi conosce benissimo il gioco dei partiti che si è ritorto contro Monti prima e Renzi poi. L’unica carica cui potrebbe sinceramente ambire è il Quirinale. Con Draghi il Colle si farebbe très d’union dell’asse franco-tedesco, avrebbe un enorme margine di intervento e una capacità di condizionamento degli esecutivi molto forte. Forse troppo perché glielo permettano.

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