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Il presidente ucraino, Aljaksandr Lukašėnka, ne è sicuro, è stato un complotto dell’Occidente: l’avvelenamento di Alexei Navalny,  leader della lotta all’anti-corruzione russa e più mediatico dei nemici di Vladimir Putin, è frutto di “una messa in scena” dei servizi segreti occidentali. Alle prese con la crisi interna, con gli occhi della Comunità internazionale addosso, il leader eterno di Minsk cerca di rinvigorire l’alleanza scalfita che lo lega a Mosca. L’obiettivo-Navalny serviva secondo lui per mettere in difficoltà il Cremlino “e ficcare il naso negli affari della Bielorussia”.

Se Lukašėnka è isolato, dopo il tentato omicidio dell’attivista star russo, Putin lo è altrettanto. Il ricorso al nemico dall’esterno è automatico, tipico dei regimi autoritari quando soffrono difficoltà e imbarazzi. Il portavoce, Dmitri Peskov, calca sul cui prodest, dice  che sarebbe stata una scelta troppo avventata e autolesionista avvelenare un oppositore così famoso in Occidente ma troppo poco consistente in Russia – in realtà Navalny in patria s’è creato una lista di nemici molto lunga, dentro e fuori al Cremlino, e inoltre come scrive su Linkiesta Anna Zafesova, la congiunzione astrale per l’azione contro di lui, che “Putin vuole far fuori da tempo” c’è e si lega alla tornate elettorale di questo mese (le regionali del 13 settembre), in cui l’attivista poteva mettere in ulteriore difficoltà il putinismo; inoltre c’è il rischio che a novembre alla Casa Bianca entri qualcuno con posizioni più severe su Mosca (e dunque sfruttare quest’ultima finestra di relativa impunità poteva essere un’occasione).

Insomma, il quadro dei moventi esiste (e non va sottovalutato che tra chi vuole la morte di Navalny c’è una serie di oligarchi e uomini del potere che le sue iniziative hanno smascherato). Poi c’è la prova circostanziale: è stato utilizzato un agente nervino, il Novichok, non nuovo per certi utilizzi; una componentistica militare difficilmente accessibile se non agli alti ranghi di Difesa e Intelligence. Putin in difficoltà non nomina pubblicamente mai Navalny – ora in cura all’ospedale Charité di Berlino, che ha diffuso le informazioni sulle tracce di Novichok., L’ha fatto Sergej Naryškin, capo dell’Svr (l’intelligence interna)  che parla anche lui dello zampino velenoso di qualche servizio straniero nemico. Ma chi continua a spingersi oltre è sempre Lukašėnka: il bielorusso racconta anche di aver avuto informazioni su una fantomatica “telefonata Varsavia-Berlino” in cui ci si metteva d’accordo sull’azione false flag.

Mentre le Tv statali russe martellano su certe ricostruzioni abbinate a quella ufficiale – nessun veleno, Navalny ha sofferto crisi metabolico per calo glicemico – Putin appare sempre più solo. Se si esclude il cerchio del potere fedele e il satrapo bielorusso, non c’è nessuno che gli dà udienza. Anzi, proprio dalla Germania c’è un pressing molto forte. La cancelliere Angela Merkel è descritta ai media come “infuriata”, perché aveva chiesto a Putin collaborazione per risolvere l’annoso problema bielorusso: l’esplosione della piazza dopo le ennesime elezioni farsa sembrava un terreno in cui Europea e Russia potessero trovare una cooperazione nell’ottica di mantenere vivi interessi reciproci e necessariamente comune. Ora Lukašėnka sfrutta la situazione a proprio vantaggio e aiuta Putin raccontando che polacchi e tedeschi hanno inscenato il tentato assassinio di Navalny contro Mosca e Minsk.

È chiaro che la situazione rende l’offerta di collaborazione di Putin a Berlino poco potabile – ci saranno nuove sanzioni, e in generale saranno ulteriormente allentati i rapporti tra Bruxelles, dove la politica estera vive una fase frizzante guidata dai tedeschi, e Mosca. “Fissare ultimatum non aiuta nessuno, ma se nei prossimi giorni la parte russa non aiuta a chiarire cosa è successo allora dovremo discutere una risposta con i nostri partner”, ha detto il ministro degli Esteri tedesco alla Bild. Ma non solo. Merkel è in difficoltà in casa, perché l’idea di far viaggiare le relazioni con la Russia su un doppio binario – da un lato la severità su Navalny, dall’altro la possibilità di cooperare su Minsk e l’interesse strategico del gasdotto Nord Stream 2 – sembra venir meno. Denuncia pubblica dal Financial Times, che tra i corridoio berlinesi è letto come una Bibbia: “Il gasdotto non ha alcuna ragione commerciale, ma è in sostanza un progetto politico per dirottare le forniture delle ancora affidabili condotte che attraversano l’Ucraina”, scrive l’Editorial Board del quotidiano londinese.

E ancora: “Altri legami energetici [con Mosca] non saranno facili da sciogliere e l’Europa avrà bisogno del gas russo per anni venire. Ma i futuri investimenti energetici occidentali in Russia dovrebbero essere sottoposti allo scrutinio dei governi e degli sforzi per far arrivare gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti e da altre parti incrementanti, anche se si rivelasse più costoso. La disponibilità degli europei a pagare di più per ridurre la propria dipendenza energetica dalla Russia manderebbe un messaggio potente” a Putin. È questo il punto: Merkel è chiamata a un cambio di visione enorme, storico che passa dalle sue mani – niente sarebbe duro come la sospensione del Nord Stream 2 d’altronde.

Si gioca qui, adesso, la continuazione della sua eredità – con pressing forti dall’interno (vedere le dichiarazioni del presidente della Commissione Esteri del Bundestag, Norbert Röttgen, della Cdu-Csu). La cancelliera, come già visto in passato, potrebbe essere pronta a svolte politiche. Il Nord Stream 2 rischia? Chissà…

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