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Il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, sarà nei prossimi giorni in Israele, e poi probabilmente in Cisgiordania, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar. L’obiettivo dell’ennesimo viaggio del capo della diplomazia americana in Medio Oriente, secondo le indiscrezioni pubblicate su Axios, è procedere con il dialogo regionale al fine di trovare una soluzione alla guerra israeliana di Gaza, scatenata dal terribile attentato di Hamas del 7 ottobre.

È la quarta volta che Blinken è protagonista di tour diplomatici del genere, la quinta visita in Israele dall’attacco terroristico; se c’è un uomo che merita un plauso personale è certamente il segretario di Stato americano. Che tuttavia si muove chiaramente per l’interesse statunitense, interesse che passa anche dal dimostrare che l’America è una potenza responsabile, coinvolta nel risolvere crisi complesse come quella in corso nella regione mediorientale.

La fase di discussione attuale è stata inaugurata ufficialmente a DC nei giorni scorsi, quando lo stesso Blinken (e poi il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan) ha incontrato Ron Dermer, ministro israeliano per gli Affari Strategici. Si parla di come avviare la transizione dall’attuale invasione violenta a una successiva fase di operazioni mirate contro obiettivi specifici di Hamas.

Il passaggio in Cisgiordania e nelle capitali arabe serve anche a coordinare questa transizione operativa-militare con un qualcosa di politico-amministrativo – per esempio l’avvio della gestione della Striscia sotto l’Autorità nazionale palestinese o alla creazione di un sistema ibrido di co-gestione post-bellica che coinvolga in qualche modo anche Israele o i suoi militari.

Nell’immediato servono due cose: maggiori aiuti umanitari alla popolazione palestinese intrappolata nella guerra e l’individuazione e liberazione degli ostaggi. Nel futuro serve di capire che tipologia di governance dare alla Striscia di Gaza. Il valore di certe scelte sarà fondamentale non solo per gli equilibri interni di Israele, ma anche per la sua proiezione regionale. Il dialogo con il mondo arabo, che Blinken sta portando avanti, serve anche a comprendere come poter procedere con l’integrazione regionale israeliana, interrotta dall’attentato del 7 ottobre e dalle successive violenze.

Il momento di spingere su certi temi è questo: alcuni funzionari israeliani (come il capo di Stato maggiore Herzi Halevi) hanno avvertito che la guerra probabilmente durerà per “molti altri mesi”. Ma potrebbe essere una retorica del momento, perché è lo stesso Tsahal a dire che l’espansione delle operazioni nei campi profughi al centro della Striscia – Al Maghazi, Nuseirat e Bureij – potrebbe essere l’ultimo grande sforzo nella fase ad alta intensità dei combattimenti, la quale potrebbe essere completata entro la fine di gennaio.

Non solo Gaza, anche Mar Rosso

Ma è possibile che nell’agenda del segretario americano ci sia anche un altro dossier: la gestione della crisi del Mar Rosso e la possibilità di condurre attacchi contro gli Houthi, l’organizzazione yemenita che sta producendo la destabilizzazione lungo le rotte che collegano Europa e Asia. Gli Houthi probabilmente si muovono in cooperazione con le forze iraniane, che forniscono assistenza militare al gruppo che ha rovesciato il governo di Sanaa otto anni fa.

Tre sere fa, un drone statunitense ha colpito una milizia sciita collegata all’Iran (la Kataib Hezbollah) in risposta a un attacco subito a Erbil dalle forze della coalizione internazionale – che ancora sono acquartierate nel Kurdistan iracheno dopo le operazioni contro lo Stato islamico degli anni scorsi. Secondo il conteggio del Pentagono, quello era il 103esimo attacco subito dagli Stati Uniti tra Iraq e Siria dall’inizio della guerra a Gaza.

L’autorizzazione all’azione è stata siglata direttamente dallo Studio Ovale, che potrebbe dare luce verde ad altre operazioni specifiche sul territorio yemenita. Anche perché chi conduce gli attacchi non sembra essere dissuaso dall’annuncio dell’operazione Prosperity Guardian per la sicurezza marittima, e le attività continuano anche verso i traffici navali in pieno Oceano Indiano.

Attaccare gli Houthi potrebbe essere una necessità se la destabilizzazione continua. Il compito di Blinken potrebbe essere quello di parlare di questa necessità con gli alleati arabi, che sul dossier yemenita hanno due generi di sensibilità: primo, mantenere il complesso equilibrio sullo stato di cessate il fuoco interno; secondo, non alterare la normalizzazione che Riad e Abu Dhabi (coinvolti nella guerra civile in Yemen) hanno costruito con Teheran.

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