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Quanto costa la libertà di parola nel 2020? Dipende. Se sei un hater frequentatore dei social in vena di insulti non ti costa niente. Se sei un giovane cattolico, vivi a Hong Kong e invece di sfogarti su internet prendi la parola durante una manifestazione democratica e non violenta, allora la tua libertà ti costa tredici mesi e mezzo di carcere.

Joshua Wong, il giovane leader degli studenti di Hong Kong, quando l’arrestarono aveva detto che lui e i suoi amici (non è l’unico condannato: Agnes Chow e Ivan Lam si faranno in cella rispettivamente dieci a sette mesi, erano “pronti a pagare il prezzo” delle loro idee.

Il regime comunista di Pechino l’ha preso sul serio. Tragicamente sul serio. Chi non sta prendendo sul serio quello che sta succedendo a Hong Kong, chi sta tradendo i suoi ideali di libertà, di dignità della persona, di solidarietà con chi è ingiustamente messo in carcere, chi, insomma, sta tradendo Joshua, Agnes e Ivan è il cosiddetto occidente democratico. Non una voce si è levata ufficialmente dall’Unione europea, non una protesta formale è stata consegnata agli ambasciatori cinesi nelle capitali del continente che ancora si ritiene la culla della civiltà del diritto.

Con la Cina tutti intrattengono proficui commerci, alcuni firmano trattati sulla nuova “via della seta”, altri le vendono i loro porti. Non condanno aprioristicamente tutto ciò, dico che anche nei rapporti internazionali vale il principio evangelico “non di solo pane vive l’uomo”.

All’origine di ogni civiltà c’è un fattore ideale, all’origine della nostra c’è il valore assoluto della persona. Assoluto, cioè sciolto da ogni vincolo che ne determini in qualche modo un prezzo, che lo monetizzi.

La nostra civiltà ha riconosciuto questo valore inserendolo nelle costituzioni, nelle norme che la reggono sotto il punto di vista giuridico. In Europa, proprio i questi giorni c’è, giustamente, un acceso dibattito politico e mediatico e una grande pressione su alcuni Paesi perché rispettino lo stato di diritto.

Penso non possiamo essere schizofrenici, penso che la stessa richiesta, pur in un diverso contesto, dovrebbe essere avanzata verso la Cina. Una civiltà che non sa più gestire l’ideale che l’ha generata è una civiltà destinata al tramonto. Il problema è che non ce ne rendiamo neanche conto.

Non sto dicendo che si debba muovere guerra a Pechino, sto semplicemente rilanciando ciò che disse Václav Havel quarant’anni fa: quando mettono ingiustamente in galera qualcuno non si può stare con le mani in mano. Nacque così Charta 77, che portò alla liberazione della Cecoslovacchia dal regime comunista, ed è significativo che uno dei protagonisti di quella storia (niente nomi per prudenza) mi abbia detto tempo fa che stanno facendo rinascere Charta 77 proprio in Cina.

Io mi auguro che il nostro ministro degli Esteri, che ha avuto il coraggio di riconoscere l’errore del reddito di cittadinanza, ne abbia altrettanto per mettere in discussione una politica di rapporti con la Cina troppo supina e sia in prima fila nell’avviare un’energica azione diplomatica di protesta nei confronti del regime di Pechino.

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