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L’incertezza frena l’economia italiana tanto quanto il virus: lo ha ricordato Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di ieri 10 novembre. Gli italiani tremano non solo per il Covid-19 ma anche per come percepiscono che viene gestita la pandemia. Invece di poche misure chiare e semplici, come fatto in Germania e Francia, individui, famiglie ed imprese sono sconvolte dalle pletora di apparizioni televisive (tipo Grande Fratello), dalla pletora di provvedimenti spesso contraddittori.

La Fondazione Openpolis ha censito: 403 atti presi dalle istituzioni per affrontare l’emergenza, 280 giorni dalla dichiarazione delle stato di emergenza, 25 Dpcm adottati in questi mesi, 297 decreti attuativi ancora necessari per attuare le norme Covid, 60 decreti attuativi non pubblicati entro la scadenza, un cortocircuito crescente tra Stato e Regioni. In questa vera e propria orgia di provvedimenti, individui, famiglie hanno difficoltà ad orientarsi. Aggiungono alla confusioni, anche quelli nella cinematografia americana, vengono chiamati moments of comic reliefs come le vicende della presidenza dell’Anpal e della nomina dell’ultimo commissario alla sanità della Calabria. In questi ed altri casi, le perplessità riguardano non solo chi è stato nominato ma anche chi li ha nominati.

In questo caos, a torto o a ragione, il governo dà la sensazione di essere lui incerto e diviso e di essere lui stesso a sprigionare incertezza anche quando non sarebbe necessario come nel caso della polemica tra governo e Regioni sull’impiego degli indicatori presenta aspetti sia tecnico-epidemiologici sia di politica economica. Sotto il profilo tecnico-epidemiologico, l’ultimo Dpcm rimanda al Dpcm di aprile che individua 21 indicatori per valutare la situazione epidemiologica di ogni singolo territorio/Regione. I 21 indicatori sono suddivisi in tre diverse categorie: a) indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio; b) indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti; c) indicatori di risultato relativi a stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari. Dalla presentazione del Ministro della Salute in Parlamento si deduce che al fine di decidere quale Regione (o quale territorio) debbano essere inseriti in una delle “fasce di restrizioni”, gli indicatori vengono raffrontati con l’indice di trasmissione nazionale del virus (Rt) calcolato sui casi sintomatici.

Da aprile ad oggi sarebbe stato utile definire tra Stato e Regioni quando e da chi ciascun indicatore viene rilevato, nonché a fini decisionali se tali indicatori vengono aggregati costruendo un indice composito o se si fa uso di un’analisi multicriteri. Un indice composito sarebbe il percorso più trasparente e più semplice al fine o di giustapporre tale indice allo Rt o di utilizzare indice composito dei 21 indicatori o lo Rt simultaneamente come base per le decisioni.

Per costruire un indice composito occorre chiarire quali sono le ponderazioni di ciascun indicatore, ossia quale peso ha ciascun indicatore nella valutazione dell’organo che deve decidere quale Regione (o quale territorio) debbano essere inseriti in una delle “fasce di restrizioni”. Tale valutazioni si possono semplicemente esprimere in percentuale dell’importanza che si attribuisce, nell’indice sintetico, a ciascun indicatore. Ancora una volta, sarebbe stato ottimale definire tale ponderazione e l’indice la scorsa estate quando la pandemia appariva sopita, perché lo si sarebbe fatto, come disse Platone nel mito della caverna, “in un velo di ignoranza”. Allora nessuna Regione e nessun territorio sapeva in quale “fascia di restrizioni” avrebbe rischiato di essere classificato nell’eventuale di una seconda ondata autunnale od invernale della pandemia.

Forse con diplomazia e buona volontà si può cercare di definire una griglia di “pesi” nell’ambito della conferenza Stato-Regioni. I “pesi” sono eminentemente politici. Per tale ragione è desiderabile che vengano stabiliti da un organo politico come la conferenza e resi pubblici.

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