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L‘Europa poteva e può fare di più sulla Libia. Due giorni fa, l’assistente del segretario di Stato, David Schenker, che ha l’incarico di seguire il Vicino Oriente, ha fornito uno spaccato di ciò che gli americani pensano della crisi nel Paese nordafricano e di come gli alleati dell’Ue l’abbiano e la stiano affrontando. Schenker parlava a un virtual panel del German Marshall Fund, think tank di Washington che è un simbolo delle relazioni transatlantiche, e forse anche per questo ha fatto il quadro — che riguarda la Libia, ma non solo.

SANZIONARE IL WAGNER GROUP

“C’è molto di più che loro (gli europei, ndr) potrebbero fare. Potrebbero, ad esempio, sanzionare il Wagner Group. […] Se [gli europei] non assumeranno un ruolo più solido, questa cosa si trascinerà avanti ancora per molto”, ha detto l‘alto funzionario americano spiegando innanzitutto la preoccupazione principale di Washington. Ossia, il consolidamento in Libia di una presenza velenosa russa. Per gli Usa, Mosca è di troppo. Di questo, ne è simbolo la Wagner, una società di contractor militari che il Cremlino ha già usato altrove (Ucraina, Siria, Repubblica Centrafricana) per il lavoro sporco. I mercenari di Mosca sono schierati in Cirenaica: hanno sostenuto il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, e ora che il capo miliziano ha perso la campagna contro il governo onusiano di Tripoli sembrano interessati a strutturare qualcosa di più. Una presenza strategica (forse anche di disturbo strategico) nella Libia orientale, che per gli Usa è intollerabile vista la vicinanza alle infrastrutture chiave della Sicilia (sia emerse, Sigonella o Muos, sia sommerse, Greenstream e cavi sottomarini) e il valore che quell’area ha nel quadrante mediterraneo.

IRINI E I DUBBI DI SCHENKER

Sarebbero preoccupazioni che spetterebbero agli europei, sia in ottica di sovranità regionale che di divisione dei compiti nell’alleanza — nel caso chiaramente la Nato. Due argomenti che stanno a cuore dell’amministrazione Trump, di cui Schenker è espressione diretta (in office da gennaio 2019, è stato nominato dalla Casa Bianca per riempire un posto importante ma lasciato vuoto per due anni pur di estromettere in fretta i residui obamiani, è il suo non è stato certo l’unico caso). Gli europei, ha detto, sono “orgogliosi” della loro missione navale nel Mar Mediterraneo — si chiama “Irini”, ed ha come portabandiera l’italiana “Nave San Giorgio” — dice Schenker. Però dalla voce di uno dei quadri politici del dipartimento di Stato viene fatto notare un problema dietro alla missione messa in moto da Bruxelles per aiutare a far rispettare l’embargo Onu sulle armi dirette in Libia: “Le uniche interdizioni che stanno facendo [i Paesi europei] hanno riguardato materiale militare che la Turchia che sta inviando in Libia (per assistere il governo onusiano Gna, ndr). Nessuno ha bloccato gli aerei russi (arrivato dalla Siria alla base haftariana di al Jufra, ndr), nessuno sta fermando gli aerei degli Emirati Arabi, nessuna interdizione contro gli egiziani”. “Credo che almeno, se fossero seri, potrebbero denunciare tutte le parti in conflitto quando violano l’embargo sulle armi”, ha aggiunto. Non va dimenticato un elemento dietro alle parole di Schenker: martedì il presidente statunitense, Donald Trump, e il suo omologo turco, Recep Tayyp Erdogan, hanno parlato della situazione in Libia durante una conversazione telefonica.

I PROBLEMI, NOTI, DI IRINI

La questione è nota a tutti coloro che seguono il conflitto, ed è anche stata espressa pubblicamente dai rappresentanti principali del governo Gna. Lo ha fatto direttamente, e meno di un mese fa, anche il capo del Consiglio presidenziale libico, il premier Fayez Serraj, in uno dei tanti contatti con l’Italia. Tripoli vede da sempre la missione favorevole a Haftar. È un pensiero fisso che i libici occidentali hanno fin dai mesi in cui se n’è iniziato a parlare (gennaio) del piano navale e che le fonti del Gna hanno più volte espresso. Ora sfruttano l’uscita di Schenker per rafforzare il proprio pensiero: “Avevamo ragione, Washington è con noi” dicono. Il punto sta anche nella strutturazione politica: la presenza francese e greca è significativa di un allineamento interno pro-haftariano, con entrambi quei Paesi che hanno contenziosi aperti con la Turchia. L’Italia dal ruolo di comando ha dovere di compensazione. Roma sta facendo in modo di presentare la missione bilanciata ed equidistante rispetto alle parti in campo. Parigi concede mezzi, Atene forse di più: ha permesso di essere il porto in cui depositare eventuali migranti raccolti per la legge del mare. Non è poco, visto che una missione simile, “Sophia”, era stata fermata perché si temeva facesse da pull-factor per l’immigrazione. E l‘attività marittima europea, inoltre, poco può con i trasferimenti di armi che arrivano in Cirenaica: i rinforzi entrano  con voli aerei dagli Emirati, oppure dopo un trasbordo in Egitto passano il confine via terra. C’è da dire che ormai anche Ankara s’è organizzata, e molti degli armamenti arrivati in Libia di recente hanno viaggiato attraverso aerei-cargo.

FRANCIA VS TURCHIA

L’ultima spedizione di armi via mare ha creato peraltro tensioni non indifferenti, quando una nave militare francese è stata illuminata dai radar dei missili di tre altre navi turche mentre cercava di fermare un cargo battente bandiera della Tanzania — presumibilmente caricato con rinforzi che la Turchia intendeva piazzare in Tripolitania. “Gli alleati Nato non dovrebbero girare i radar di controllo del fuoco l’uno sull’altro. Non va bene”, ha detto Robert OBrien, il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca mentre si trovava a Parigi per un incontro coi parigrado europei: “Siamo molto solidali con le preoccupazioni francesi”. La nave francese non era parte di Irini, ma della missione “Sea Guardian”, operata nel Mediterraneo dalla Nato: a inizio luglio, la Francia, in polemica con la Turchia, ha deciso di ritirarsi dall’operazione. In un tit-for-tat dialettico, la Francia ha chiesto agli Stati Uniti di fare di più per imporre il rispetto dell’embargo in Libia.

libia

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