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Si tratterà soprattutto della condivisione di informazioni geospaziali: la nuova intesa militare tra Stati Uniti e India permetterà a quest’ultima di sfruttare satelliti e mappe americane. Dati cruciali per i sistemi di navigazione e per i comparti aerei (anche missilistici). Si chiama Basic Exchange and Cooperation Agreement ed è il terzo accordo militare che Washington e Delhi firmano negli ultimi due anni — questa arrivata a conclusione di una visita di stato del capo del Pentagono e del segretario di Stato.

Inutile quasi aggiungere la ragione profondamente strategica alla base di queste cooperazioni: il contenimento della Cina. Nello specifico, il controllo marittimo fornito dalle informazioni statunitensi è parte cruciale dell’ambito anti-cinese, che vede nella libera navigazione il suo obiettivo minimo; quello riguardo alle immagini aeree in tempo reale sarà invece importante per l’esercito indiano nel tenere sotto monitoraggio il confine himalayano, lungo il quale questa estate cinesi e indiani sono arrivati allo scontro fisico e alla crisi diplomatica.

Delhi per ora non accetta l’adesione a un vero e proprio patto militare contro la Cina. L’allineamento con gli Stati Uniti si declina sotto forma di cooperazioni e non di alleanza. L’India, subcontinente con enormi potenzialità (e altrettante controversie), teme di passare da satellite americano e non vuole vincolarsi troppo nel trattare in forma bilaterale con Pechino. Per farlo finora ha scelto un approccio più aperto, ma l’episodio sull’Himalaya di qualche mese fa è stato la famosa goccia. Il vaso d’altronde stava per traboccare da tempo: la Cina coopera con in nemici pakistani, e lì ha creato una postazione militare (a Gwadar) affacciata sull’Oceano Indiano; la penetrazione cinese in Bangladesh e Myanmar è sempre più forte; in Sri Lanka poi il porto di Hambantota (di cui la Cina ha preso la concessione per 99 anni dopo che il governo cingalese è caduto in una trappola del debito) potrebbe anche diventare un’altra base militare a controllo indiano.

Non c’è da stupirsi dunque se Delhi ha donato il sottomarino diesel-elettrico “Ins Sindhuvir” a Naypiydav, o se al Comando Nord dell’esercito — con competenza geografica dal passo del Karakorum, nel Ladakh, fino all’ultimo avamposto Kibithu nell’Arunachal Pradesh — viene chiesto esplicitamente il confronto con la Cina lungo i 3400 chilometri di confine. Sono forme di bilanciamento davanti al crescente ruolo cinese (sia militare sia politico-economico) nell’aerale d’influenza dell’India.

Delhi sfrutta la situazione: l’interesse americano all’Indo-Pacifico è crescente e sta producendo un effetto di aggregatore su un grande sistema geopolitico, il Quad. Formula eccezionale per il contenimento cinese, che vede insieme Usa, Giappone, Australia e India. Ciascuno però — come dimostra Delhi — per ora (e finora) ha un approccio personale su Pechino, perché ognuno considera i propri interessi nazionali prioritari rispetto alla partnership. Le pressioni americane e l’espansione cinese possono essere acceleratori eccezionali. “Mentre lascio l’India, sono ancora più ottimista su ciò che realizzeremo insieme”, ha detto il segretario Mike Pompeo mentre si imbarcava per tornare a Washington.

(Foto: Twitter, @SecPompeo)

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